Voland,
174 pp., 15 €
Chi è
Gutiérrez? Ghost writer per una casa
editrice, scrive romanzi su commissione celandosi dietro un reticolo di
pseudonimi e vive un’esistenza ordinaria, regolata dalle scadenze settimanali,
le passeggiate salutari e una dieta spartana. La sua personalità sembra
annullarsi e al contempo moltiplicarsi in questo dedalo, mentre lui colleziona
in un ripostiglio segreto i suoi libri e li rifodera, soltanto per consegnarli
a una sorta di oblio. Nulla si sa del
suo passato, che affiorerà – forse – nel romanzo autentico che pensa di
presentare per meritare un posto tra gli autori conosciuti che hanno diritto a
un nome e a una foto nell’ufficio del direttore; una verità che però già
trapela inconsapevolmente tra le righe delle sue storie. È un uomo solo, che
non ha amici se non l’immaginario contraltare dei suoi dialoghi
filosofico-letterari. Sfiorando "Budapest" di Chico Buarque, la scelta linguistica di Vicente Battista – apprezzato in
Argentina per la sagacia dei suoi racconti polizieschi, surreali quanto quelli
di Chesterton - è volutamente ossessiva, basata sulla ripetizione, per
accordarsi alla psicologia del personaggio che, nella banalità sistematicamente
quotidiana, conserva un lampo di ribellione, un istinto al bisogno di
consapevolezza: la sua ricerca degli oscuri “correttori” che giudicano, spiano
e modificano il suo lavoro lo spinge a cercare il luogo nel quale essi si
riuniscono. Sono figure inquietanti, leggendarie, talmente ligie alle norme da
diventare sovra-costrutto della censura, esattamente come per i Ciechi di
Ernesto Sábato, gli Invisibili di Haruki Murakami o i Signori Grigi di Michael
Ende .