“L'uomo si dimostra intelligente solo quando riesce a disfarsi di
ogni identità”, non ci si può basare solo sui nomi, che non sempre consentono
di distinguere la comunità d'appartenenza. Il pensiero illuminato prescinde
dalle tradizioni, specie in una società complessa come quella d'Israele. È un
territorio difficile, dilaniato e conteso, dove – più che in ogni altro luogo
al mondo – si materializza la semplicistica teoria dello “Scontro di civiltà”
profetizzato da Huntington. Due mondi che cercano di trovare degli spazi di
dialogo o almeno di convivenza, due realtà apparentemente separate, ma
avvicinate da una moltitudine di sfumature che rendono labili i confini. Quando
un avvocato scopre un biglietto scritto dalla moglie a un altro uomo, tutte le
sue convinzioni progressiste si sgretolano nell'ossessione che lo riporta alle
radici campagnole, di cui si vergogna davanti agli amici. Parallelamente, un
giovane assistente sociale arabo entra nell'universo di Yonatan, il ragazzo
ebreo di cui si prende cura dopo “l’incidente” che l’ha costretto a letto –
inespressivo ma forse consapevole. Sempre più affascinato dalle possibilità di
un ambiente distante, occidentalizzato, artistico comincia a sfogliare i libri
del suo paziente, ad ascoltare i dischi, a osservare gli oggetti della villetta
in cui alloggia. Inizia così a leggere ciò che lo circonda attraverso la
macchina fotografica del giovane, rivelando i segreti delle persone che ritrae
e contemporaneamente confondendo ulteriormente la propria
auto-rappresentazione, immedesimandosi totalmente nell'Altro, modificando il
proprio percorso fino a scomparire, sentendosi uno straniero ai suoi stessi
occhi. In “Due in uno”, i personaggi vivono le loro lotte interiori come
pallidi echi del dramma nazionale, come se questo fosse lontano o estraneo agli
individui, e contassero solo le piccole cose quotidiane dalle quali ogni volta
riparte la costruzione perfetta dei tasselli narrativi. Sayed Kashua racconta
il bisogno d'integrazione con una forza espressiva corale, a volte ironica,
differente dallo stile asciutto, tragico e quasi teatrale di “E fu mattina”: in
questa nuova prova d’autore si apre su un palcoscenico più ampio che,
frazionato al suo interno, vorrebbe guardare al panorama globale.
illustrazione: NAJI AL-ALI
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