Del Vecchio Editore, 291 pp., 15 €
Le “Acqueforti di Buenos Aires” sono piccoli ritratti di una
città che cambia. Roberto Arlt è uno scrivano-fotografo che, prima di cesellare
i suoi articoli scendeva in strada e descriveva le figure tipiche di una nuova
urbanità: il commerciante, l’indolente, l’emigrato appena sbarcato, il
giocatore. Il risultato è una serie di cammei tracciati con sagacia dallo
sguardo di un outsider e apparsi sul quotidiano “El Mundo” nel 1933. L’autore
non risparmia nessuno nella sua critica ironica della nuova società e, con i
suoi strali, blocca un momento, un quadretto o un modismo caratteristico. Il primo
rimando è quindi alle “Fotografie” di Rodolfo Walsh, ma c’è anche qualcosa
dell’attenzione linguistica di Roberto Fontanarrosa in questi articoletti
mordi-e-fuggi.
Ed ecco il pregio e insieme il limite di questa raccolta: da un
lato è possibile piluccare i singoli brani come piacevoli intermezzi che
mettono in luce i nostri stessi difetti; dall’altro la godibilità non regge a
una lettura più prolungata e la sequenza perde un po’ di forza man mano che si
procede. Inscrivendosi in un nutrito filone di giornalisti umoristici
latino-americani – e rio platensi in particolare – Arlt non arriva alle vette
del racconto di costume toccate da altri scrittori del genere, basti pensare
alle istantanee narrative di Dorothy Parker sul “New Yorker”.
“Acqueforti” può
quindi essere inteso come completamento di un corpus ricco e interessante che
va dal romanzo alla al teatro e che ha impressionato giganti letterari come
Jorge Luis Borges. Come sempre, ottima l’edizione di Del Vecchio che concede
spazio alle note e apre una finestra curiosa sul mondo della tradizione.
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