Diego e Frida. Lui completamente aperto al sociale e al
pubblico, lei rivolta all’introspezione, immersa in un universo privato.
“Dipingo me stessa perché è ciò che conosco meglio”, ha scritto nei sui diari. Non
si tratta di Surrealismo, ma di qualcosa di più profondo e intimo che
rappresenta una solitudine condita di macabra ironia attraverso i rincorrersi
dei simboli. La tradizione messicana a braccetto con una componente bianca
derivata dal padre tedesco. A partire dal tragico incidente che le spezza la colonna
vertebrale in tre punti e pregiudica per sempre la possibilità di essere madre,
l’autoritratto diventa per Frida un bisogno ossessivo di indagare gli stati
d’animo e i piccoli mutamenti di una vita quasi immobile. E poi il secondo
“incidente”: l’incontro con Diego Rivera e l’amore travolgente che dà senso e
disperazione a un’esistenza intera. I due sono complementari. Lui, artista già
affermato, ha alle spalle gli studi accademici, i viaggi in Europa (in Italia e
a Parigi), le influenze dei più grandi artisti di quell’effervescente debutto
del secolo. Lei è un’autodidatta dalla tecnica imperfetta ma il suo stile
rivela un’energia comunicativa non comune. La loro è una relazione basata sui
sensi e sui colori, sull’immagine prima ancora che sulla condivisione.
Fin
dall’inizio, i due si mettono in posa, diventando icone del loro tempo, oltre
che portatori di una bandiera politica. Frida è la musa che compare in molti
murales del marito, accanto a una miriade di altri personaggi, in un pantheon
stratificato di significati ideologici; Diego è il centro dell’universo per la
Kahlo, che lo trasforma in padre, madre, amante, idea fissa. Una carrellata di
fotografie, scattate da grandi maestri dell’obiettivo – tra i quali anche Nickolas
Muray che il Ducale sta ospitando con una monografica –, coglie immortala i
coniugi insieme o separatamente inaugurando la logica mediatica dell’immagine
pop.
La mostra del Palazzo Ducale di Genova – aperta sino all’8 di febbraio 2015 – esplora il
rapporto tra le due voci più celebri dell’arte latino-americana proponendo una
ricca selezione di opere di entrambi. Particolarmente interessante la sezione
dedicata a Rivera, con numerosi lavori su tela, schizzi e un bel video che
mostra i dipinti murali in tutta la loro imponenza. Si tratta perciò di un
percorso complementare rispetto a quello dell’esposizione romana, che era
invece incentrata sul lato femminile della coppia, spostando l’accento
sull’aspetto psicologico dell’atto creativo. Il paragone tra le tappe italiane
dell’evento sono possibili solo in parte, e forse per rilevare carenza
dell’esposizione genovese: nonostante gli ottimi pannelli esplicativi, manca un
riferimento diretto al corollario dal quale è germogliato il talento espressivo
di Frida. Ma le brillanti conferenze, gli approfondimenti e
le proiezioni speciali colmano in parte
questa lacuna. Unica pecca dunque è la carrellata di abiti tipici che Frida
soleva indossare, ma la sfilata sui manichini nelle loro teche in piccolo
spazio al finale appare troppo statica.
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