Dopo “Barbablù”, colta favola sul piacere sensoriale, Amélie
Nothomb torna a un genere che le è particolarmente congeniale: il journal
intime. In queste pagine, l’autrice visita il Giappone dopo sedici anni di
assenza e riscopre i luoghi dell’infanzia e dell’adolescenza, profondamente
mutati dal corso del tempo. La realtà e la memoria si sovrappongono in un
quadro d’insieme che spesso lascia spiazzati, mostrando i segni delle tragedie
personali e naturali che definiscono la geografia del territorio, con il
fantasma di Fukushima a marcare il presente. Lontano dall’aspetto tangibile, il
Sol Levante deposita nel cuore una serenità, una “Nostalgia Felice” che dà
origine a una narrazione così privata da sembrare inavvicinabile. Tuttavia, la
scrittrice belga riesce sempre nell’arduo compito di “raccontare l’indicibile”
con le sue piccole epifanie, attraverso il dono della brevità di frasi che
sbocciano come aforismi rivelatori. Tornano i protagonisti che i lettori
avevano già conosciuto nei precedenti libri e che potrebbero diventare
personaggi straordinari in una storia più lunga e immaginifica, se sono fossero
bloccati dal vincolo della veridicità: la tata che è stata come una madre – ora
rifiutata dalle figlie – e poi Rinri, il fidanzato giapponese abbandonato a
vent’anni, simbolo dell’amore idealizzato. A differenza di un comune diario di
viaggio, qui il percorso è soprattutto interiore e quindi non coinvolge solo i
luoghi, ma anche la partenza e il ritorno, che i globe trotter-cronisti spesso
trascurano pur essendo fasi fondamentali nell’elaborazione soggettiva
dell’esperienza.
Nessun commento:
Posta un commento