Haruki Murakami Einaudi,
260 pp., 20€
A
ognuno di noi viene assegnato un ruolo; ognuno di noi ha un colore ma anche lo
sfondo è importante per far risaltare le tonalità., quanto la luce bianca in un
quadro di Edward Hopper. Per un progetto scolastico, cinque liceali formano un
gruppo che funziona con la logica strutturale dei classici anime nipponici con
gli eroi che incarnano determinate caratteristiche. Tsukuru è l’unico nel cui
cognome non ci sia un ideogramma che rimanda alla sfera cromatica ma, tenendo
fede al significato proprio nome, Tsukuru ha il compito di “costruire” cose
concrete e pur sembrando marginale funge da nodo di collegamento all’interno di
un organismo armonioso. Quando viene allontanato inspiegabilmente, la coesione
si perde e lui stesso si ritrova a un passo dal baratro, a stretto contato con
la negatività dell’Io. Secondo l’analisi dei commentatori, siamo di fronte a
una nuova evoluzione di Haruki Murakami che apparentemente si discosta
dall’archetipo individuo “cool” per interessarsi alle dinamiche dei rapporti
sociali. Il focus è soggettivo ma il punto di vista sull’amore e
sull’inquietudine è di qualcuno che s’immerge nella società e se ne lascia
influenzare. Questo libro è un tassello che si aggiunge al nutrito corpus
dell’autore perché in realtà anche i personaggi che si ponevano come
osservatori indifferenti sono parte di un ordito nel quale le figure maschili
sono l’incarnazione del tipico “Uomo senza Qualità” che si confonde tra la
folla, mentre le donne sono creature trascendenti e delicate, impalpabili e al
contempo a tutto tondo. E forse non è un caso che la persona che salva Toru di
“Norwegian Wood” dall’apatia sia una ragazza di nome Midori (Verde); e lo
stesso vale per Aomame (Pisello Verde), metà femminile di “1Q84”: due
gradazioni di verde. Per ciò, se volessimo spingerci ancora più in là nel gioco
delle interpretazioni, potremmo forzare un po’ la mano e tirare in ballo l’ipotesi
relativista di Sapir e Whorf secondo la quale la percezione del mondo varia
secondo lo schema linguistico adottato e i due studiosi sottolineavano proprio
i fraintendimenti di traduzione dovuti alle difformità nell’assegnare un nome
ai punti della scala cromatica: cioè, in giapponese alcune tonalità che per noi
ricadono nella sfera del “blu” rientrano ancora nel “verde” e quindi “midori” è
decisamente “verde” mentre “ao” indica anche il blu e l’azzurro. Cosa può
significare questo discorso se applicato all’analisi dei personaggi di Murakami?
In questo nuovo romanzo i due ragazzi “colorati” del gruppo sono Aka (“rosso”)
e Ao (che qui è giustamente reso con “blu”): nonostante il loro cognome
contenga una tinta, entrambi sono entrati in un ingranaggio che rispecchia lo
Spirito del Tempo. Il primo si è improvvisato guru di una start-up motivazionale;
il secondo è diventato venditore di un lussuoso concessionario. Come le
stazioni costruite da Tsukuru cambiano la loro funzione con l’evolversi della
società e mostrano i bisogni delle masse, anche gli status e le istituzioni che
li rappresentano si modificano e nel libro tutti i personaggi hanno seguito un
percorso di vita totalmente inaspettato, tranne il protagonista che rimane
fedele alla propria vocazione giovanile.
In “Tazaki Tsukuru” gli stilemi consueti
dell’autore sono ripresi e adattati a un diverso parametro: l’analisi dei
rapporti d’amicizia e delle tensioni fra i sessi è carica di tutte le possibili
sfumature. Le due ragazze del team sono Shiro (“Bianco”) e Kuro (“Nero”) e sin
dall’inizio sono concepite come un organismo unico – esattamente come in “1Q84”
daughter e mother erano un’unità di senso – ma, se gli incontri a tre rievocano “Il
Flipper del 1973” (uno dei primi romanzi di Murakami, inedito in Italia), è
forse la prima volta che si accenna all’attrazione omofila, e lo si fa con la
delicata naturalezza che ricorda “Una Promessa d’Estate” di Chiya Fujino:
infatti la sintesi corporea delle due donne è un ragazzo, Haida ( dove “hai” si
scrive con l’ideogramma di “grigio”). Come sempre avviene in Murakami, la riflessione va oltre l’incontro
carnale: a livello spirituale, qui l’equilibrio tra i due non-colori si esprime
sulla tastiera del pianoforte, attraverso il continuo riferimento alla musica
come mezzo per creare un mondo nuovo, alla stregua della zangolatura degli
oceani nella religione hindu. Si tratta però di un meccanismo fragilissimo,
costantemente vicino al baratro della follia, in un modo che, anche per le
suggestioni visive, si avvicina “D-Gray Man” e “Soul Eater”, due manga nei
quali il lato oscuro dei personaggi si manifesta proprio in una melodia suonata
dai loro doppi. “L’incolore
Tazaki Tsukuru e i suoi Anni di Pellegrinaggio” è un romanzo meno ambizioso e complesso sul
piano immaginifico, ma forse proprio per questo è denso di contenuti e ricco
suggestioni. Come di consueto, il titolo, che riprende quello di un brano di
Liszt, è una dichiarazione descrittiva che si rifà alla tradizione della
narrativa orale e sembra aggiungere una variante al personale realismo magico
di Murakami – per quanto questa etichetta vada sempre applicata con
precauzione, persino quando si parla di letteratura latino-americana. Nell’“Incolore Tazaki
Tsukuru” si sviluppa una profonda analisi psicologica che trasforma
l’astrattismo in un contenitore tangibile, con tutte le fragilità dell’essere
umano. Anche il tema delle dimensioni parallele qui assume tratti di
verosimiglianza che però – come già in “Kafka sulla spiaggia” – confinano con
la psicanalisi mescolando il presente al passato, lo Spazio e il Tempo. * L’individuo
si apre all’esterno, modificandosi. Le immagini che altrove riprendevano
velatamente la poetica di Tomas Transtörmer si manifestano in uno spostamento fisico
che confina con la saggistica di “Underground”.
Invece di chiudersi nel proprio universo interiore, Tazaki si rivolge
all’esterno e infonde le sue emozioni nel paesaggio delle foreste finlandesi,
scenari bellissimi, pacifici e incontaminati dove però c’è il rischio di
perdersi (proprio come nel bosco di “Kafka sulla Spiaggia”) e di finire “kamikakushi”,
“rapiti dagli dei”. Nella struttura
narrativa che inanella storie diverse, incorporando nella trama principale
anche alcune digressioni, si ritrova uno stile classico che associa i viaggi
sabbatici dei personaggi a un processo di scoperta di sé e del mondo che ha lo
stesso principio di analisi concreta e interiore dei vagabondaggi dei veduti dell'ukiyo-e. A
questa visione da vicino, si somma la metafora del treno che stavolta viene
resa palese e sviluppata quasi si trattasse di una trasposizione sulla carta
geografica delle tappe del Galaxy Express 999 (a sua volta libera
interpretazione di “Una Notte sul Treno della Via Lattea”, classico per bambini
di Kenji Miyazawa). In “Tazaki Tsukuru” resiste l’aspetto fantastico della
ricerca di senso ma l’accento è calcato sul piano reale. Se in“L’Arte
di Correre” il podismo era la sublimazione della disciplina morale, ora il
nuoto è la metafora della crescita mentale dei personaggi che attraversano un
“mare buio” per poi emergerne o inabissarsi.
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