La Nuova Frontiera, 136 pp., 14€
Per il terzo romanzo di Luiz
Ruffato, il traduttore e saggista Gian Luigi De Rosa ha curato un ottimo lavoro
esegetico, riproducendo la “quasi oralità” tipica dei contadini inurbati nella
megalopoli di San Paolo alla ricerca di un modo per “migliorare le proprie
condizioni”.La verosimiglianza del romanzo epistolare ci apre le porte alla
vita quotidiana di una famiglia modesta dello stato di Minas Gerais e alla
complessità del Brasile degli anni Settanta, che risponde al dramma della
dittatura militare con il calcio – “Tropicália ou Panis et Circenses” ammoniva
Caetano Veloso –La politica è però solo un tassello della vicenda di José
Célio, arrivato nella grande città, dirottato nell’anonimato delle fabbriche.
Anche se la consapevolezza sociale diventa man mano più salda con le lotte
sindacali e le rivendicazioni operaie, lo snodo centrale della narrazione resta
il senso di straniamento di chi si sente dovunque straniero, incapace di
adattarsi del tutto al nuovo contesto ma ormai lontano da un luogo d’origine
che si trasforma in un’utopia. La
descrizione a tratti malinconica di un panorama urbano freddo si sostituisce
lentamente a quell’ecologia personificata introdotta dal narratore nella
premessa e, almeno nelle prime lettere, si mescola con lo stupore per le
dimensioni elefantiache delle strade e delle folle per poi trovare un
contrappunto doloroso nella miseria evidente delle campagne inaridite del
sertão. Si sente un eco del verismo dei film di Nelson Pereira dos Santos ma il
contesto situazionale colloca la finzione in un Paese che, nonostante la
crescita economica, i Mondiali e le Olimpiadi, resta ancora molto diseguale.
Nessun commento:
Posta un commento