LAUREL CANYON di
Lisa Cholodenko non è un film memorabile. Alex e Sam arrivano alla casa della
madre, produttrice discografica, e si trovano a dover convivere con lei e con
la band che sta registrando un disco. Mentre Alex tenta di scrivere la propria
tesi di genetica (sulla drosofila), Sam inizia il tirocinio da psichiatra in un
ospedale e dà prova di umanità nel trattamento dei casi, ascoltando i pazienti
e non limitandosi a curarli con la terapia farmacologica.
Alex
però è sempre più coinvolta in una storia a tre con Ian e la madre di Sam
mentre lui comincia a provare attrazione per Sarah, una collega giunta da
Israele per uno scambio.
Ci sono
dunque alcubi spunti che però non vengono sfruttati a dovere perdendosi nel
pastiche vacanziero. Il primo punto, quello più evidente nelle parole stesse
dei personaggi è la dicotomia STIMOLANTE /NON STIMOLANTE: poco padrona della
lingua, Sarah definisce il lavoro scientifico di Alex “non stimolante” come
sinonimo di accademico e noioso; al contrario la vita sregolata dei musicisti e
di Jane pare stimolante per la ragazza che non ha mai imparato a lasciarsi
andare (ma il lasciarsi andare è qualcosa che s’impara?). Il discrimine è tra
normalità e sregolatezza, senso di realtà e voglia di fuga. Laurel Canyon è
quindi un luogo fisico ma soprattutto una parentesi nella quale tutto può
cambiare. Questo si riflette anche su Sam, attraverso il suo lavoro e il suo
rapporto con l’Altra che viene in parte sublimato da uno slittamento platonico,
parlato e poco agito.
L’aspetto
antropologico dell’incontro tra la cultura ebraica e quella statunitense resta
solo implicito e non ha seguito, tanto che si riduce a un dettaglio sullo
sfondo.
Gli
attori non sono da ricordare se non la grande Frances Mc Dormand (Jane) che,
col suo tocco, rende degna anche la storia più insulsa. Per il resto il cast
non annovera nomi di rilievo, se non si considerano i blockbusteroni degli
ultimi anni. Christian Bale (Sam) è espressivo come una melanzana e anche
Benkinsale (Alex), reduce dai vari “Underworld” è solo di poco sopra la sufficienza.
Il film
si propone da subito come una riedizione di “Almost Famous” e, se non centra
assolutamente l’obiettivo, ha comunque una buona colonna sonora alternative
pop, in cui spiccano Mercury Rev e T-Rex oltre ad alcuni brani originali composti e cantati da Alessandro Nuvola(Ian).
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