“Mia amata Yuriko” è una storia d'amore ma anche una
straordinaria testimonianza del Giappone all'epoca della guerra. In
particolare, le pagine dedicate a Hiroshima sono forti, toccanti, intense senza
essere sdolcinate. La vicenda è incredibile dal nostro punto di vista
occidentale ma rispecchia gli usi nipponici di quel periodo: gli incontri
combinati, l'obbedienza ai genitori, la posizione della popolazione nello
sforzo bellico. Yuriko è la sorella della suocera di Antonietta ed era sposata
con un militare della Marina; la loro è una grande intesa ma qualcosa non va e,
finito il conflitto, con il Paese in ginocchio, i nodi vengono al pettine e il
segreto verrà svelato solo in una lettera, quarant'anni dopo. Lo stile della
Pastore è asciutto e lieve, con un'aura di giapponesità che fa sembrare
tradotto il romanzo. L'autrice è una sorta di antropologa che con sguardo
partecipante coglie le sfumature della cultura nella quale si trova immersa,
benvoluta dalla famiglia ma oggetto di curiosità per la gente. Certo negli anni
Ottanta si era abituati agli stranieri ma non al fatto che fossero integrati
nella società. Dopo “Leggeri i passi sul tatami”, questo è un libro più
compiuto – anche se comunque fresco – che mi sento di accostare al filone
asiatico di Amélie Nothomb per la ia (forse eccessiva) vena sintetica, mentre
la parte sull'esercito mi pare completi ciò che si legge in “Una Storia per
l'Essere Tempo”
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