venerdì 30 settembre 2016

SEI SEMPRE STATO QUI Eugenio Gardella



 
 
Per avere un figlio, Eugenio e Roberta affrontano un percorso doloroso, fatto di perdite: tante interruzioni di gravidanza,il fallimento della fecondazione assistita. È come il percorso dell'eroe che modifica se stesso attraverso l'esperienza Arrivano a un limite che richiede un gesto di resilienza, ma la capacità di assorbire il dolore senza spezzarsi porta  una grande crescita interiore. Dunque la saudade, la malinconia per qualcosa che poteva essere e non è stato, corrisponde agli appigli di quelle vie di roccia che Eugenio esplora interrogandosi sulle proprie possibilità dopo un intervento di ernia cervicale, sulle possibilità di essere padre dopo essere staro figlio e la possibilità di stare accanto a una donna che diventa madre.  Solo alla fine si affidano all'incertezza dell'adozione e approdano alla magica avventura di essere genitori volando dall'altra parte del mondo per incontrare Mario un bambino cambogiano di tredici mesi che, con la sua speranza, completa l'idea di famiglia. È un viaggio nello spazio e nel tempo, un regalo che non avrebbero avuto seguendo “il metodo tradizionale” . Non c'è differenza tra l'adozione e la paternità biologica: in tutti e due i casi si tratta di un piccolo marziano che piomba nel tuo mondo senza che ci siano istruzioni per l'uso, qualcosa che h  che fare con il lavoro manuale e con lo sforzo disciplinato della scrittura. Nel caso di Gardella c'è un elemento in più: il cammino verso l'ignoto di una cultura altra, la sensazione di una cesura violenta che però si trasforma istantaneamente in affetto istintivo. In genere si pensa all'emozione della maternità e non si considera il lato maschile, e per questo è un libro unico che coglie nel segno di un tema molto attuale, che tocca molte coppie italiane, segnate da leggi molto restrittive. Si intravede un'analogia tra il percorso verso la genitorialità e l'arrampicata, ma anche il cesellare la lingua ha un ruolo in questa storia, come Murakami l'aveva accostato all'arte di correre, per l'autocontrollo che occorre nel mettere in fila le parole giorno dopo giorno. Ed Eugenio lo fa: legge i miti nordici, inventa storie, scrive le sue impressioni su un taccuino.

Dal punto di vista stilistico, le anafore tornano spesso dando ritmo, ma la ripetizione delle prime parole di una frase spezza un po’ il flusso di una vicenda davvero magica e toccante, lontana dai sentimentalismi che il “mettersi in piazza” può portare. Non una storiella mielosa alla Garamellini dunque, ma piuttosto un’invenzione autobiografica cesellata nella lingua con un lavoro di scalpello, che porta all’universalizzazione dei personaggi e della vicenda, dei luoghi e del tempo. C’è poi un modismo particolare dell'autore: la locuzione introduttiva “Succede poi che ...” che frastaglia un po’ l'unità del periodo, ma ha la precisa funzione d’inserire il protagonista nel suo presente.

È un buon esordio, con temi interessanti, intensi e mai banali. Gardella ha saputo costruire una bellissima storia d’amore basata forse ancora troppo su dati di realtà ma che ha ottime potenzialità. Sicuramente sentiremo ancora parlare di questa nuova voce della narrativa genovese.

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