venerdì 4 ottobre 2013

NOSTALGIA DE LA LUZ




 
Il regista Patricio Guzmán è specializzato nell’analizzare il “periodo buio” della storia cilena, quella parentesi di quindici anni che rimane come uno strappo nella coscienza collettiva della nazione. “Nostalgía de la luz” (2010) affronta il tema da una prospettiva documentaristica e poetica, attraverso un viaggio socio-scientifico nel territorio del deserto di Atacama, una delle regioni più aride e affascinanti del mondo. In questo luogo marziano s’incontrano astronomi e archeologi, entrambi impegnati a risolvere gli interrogativi sull’origine della Terra e dell’Uomo. Purtroppo gli studiosi non sono gli unici a cercare risposte: i parenti dei desaparecidos della dittatura stanno ancora raccogliendo i resti dei loro cari sparsi in mezzo alla sabbia e, per quanto di sia un aspetto romantico nella vicenda di un gruppo di prigionieri che, rinchiusi nel campo di una vecchia miniera, passavano le serate a scrutare il cielo trasparente per sentirsi liberi, il Paese deve ancora fare i conti con un trauma terribile, che si ripresenta ogni giorno nella vita quotidiana delle quasi  60.000 persone torturate dai militari di Pinochet. Non si tratta semplicemente di rintracciare i corpi scomparsi o di trovare motivazioni all’orrore, quanto piuttosto di accettare – a livello pratico e spirituale – le conseguenze delle ferite. Ognuno usa la propria esperienza per colmare il vuoto e spiegare la questione di fondo: non tanto “come è cominciato”, ma “dov’ero io quando questo avveniva?”. Come avviene nel libro “Il Deserto” di Carlos Franz, ascoltiamo una polifonia di voci, tutte provenienti dallo stesso spazio ma tutte con accenti e toni diversi: ci sono i paleontologi che seguono le tracce nomadi degli antichi pastori pre-colombiani, i ricercatori della stazione d’osservazione internazionale ALMA, la commozione delle donne che continuano a scavare senza darsi pace e i figli dell’esilio, che faticano costruirsi un’identità. Esattamente come nel romanzo, due poli estremi si toccano perché l’astro che porta la luce (quello che “non si può nominare”) veglia sui morti che sono sottoterra. Dato che i punti di riferimento sono irrimediabilmente perduti, è necessario disegnare una nuova mappa che mescoli memoria e intuizione, combattendo l’oblio. Le rilevazioni cosmografiche corrispondono alle stupefacenti planimetrie di Miguel Lawner, in cui la precisione dimensionale dell’architetto si mescola all’urgenza della testimonianza. Spostando quest’approccio visivo sul piano interiore e metaforico, si può tentare un paragone tra le piante misurate a passi e il lavoro di compilazione del protagonista di “La Fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” dello scrittore giapponese Haruki Murakami: una persona alla quale è stata portata via l’ombra percorre il perimetro della città in cui è recluso, sperando d’individuare un piccola falla nelle alte mura, fino a comprendere che la fortificazione si nutre dei sentimenti di chi è intrappolato. “Nostalgía de la Luz”, premiato all’European Film Festival, affascina con la forza delle immagini – che accostano i movimenti galattici al suolo rosso – e con la bellezza di un linguaggio pulito; come una buona lettura genera domande invece di fabbricare certezze.


 

mercoledì 2 ottobre 2013

KIM TONG-NI & LA SCIAMANA DI CHATSIL


 
Kim Tong-ni (pseudonimo di Kim Shi-jong) è nato a Gyoengju, in Corea del Sud nel 1913. attivo in diverse organizzazione di carattere letterario, è stato anche proposto per il Premio Nobel. è morto nel 1995

Il lavoro di Kim ha a che fare con i temi del folclore coreano visti attraverso la prospettiva moderna. in quanto sostenitore di una “letteratura pura”, Kim Tong-ni ha scritto una serie di saggi opponendosi alla letteratura di stampo ideologico (The True Meaning of Pure Literature (Sunsu munhagui jinui, 1946) and The Theory of National Literature (Minjok munhangnon, 1948).

Il mondo letterario di Kim Tong-ni mescola il misticismo tradizionale e il realismo e s’interroga sul concetto di destino e sul posto dell’uomo nell’universo, usando come metro di paragone il mondo spirituale della Corea tradizionale, in contrasto con gli elementi portati da una cultura straniera. I suoi primi lavori sono incentrati sui miti ed esplorano la relazione tra Sciamanesimo e Confucianesimo, tra Cristianesimo e Buddhismo servendosi degli espedienti narrativi del Naturismo. Ritratto di una Sciamana (1936), che poi sarà trasformato in un romanzo più lungo Ŭlhwa descrive il conflitto generazionale e spirituale tra una madre sciamana e il figlio cristiano. Attraverso il suicidio della donna, l’autore intendeva predire il declino delle antiche credenze in favore delle nuove dottrine appena importate.

Dopo la Guerra di Corea (1950-1953), Kim Tong-ni ha toccato nuove tematiche, denunciando gli scontri politici e la sofferenza della gente durante il conflitto. Evacuation of Heungnam (Heungnam cheolsu) si basa su di un fatto vero: la ritirata delle forze dell’ONU dalla città di Hŭngnam, che ha dato libero sfogo al contrasto tra comunisti e anti-comunisti. Dance of Existence (Siljonmu)  racconta di una storia d’amore tra un uomo nordcoreano e una donna del sud. Apparentemente, in queste opere l’autore cercava di universalizzare gli elementi tradizionali dell’identità coreana, trasportandoli in una realtà contemporanea. In The Cross of Shaphan (Sabanui sipjaga, 1957) Kim inventa un uomo crocifisso accanto a Gesù e combina le istanze politiche all’atteggiamento critico verso la cultura occidentale.

Alcune delle novelle di Kim sono state tradotte in inglese e raccolte nel volume Loess Valley. Le storie contenute in questo libro possono essere lette come parabole dell’effetto dannoso esercitato dalla Cina sulla Corea. Si tratta di testi pieni di violenza che sono interessanti da leggere ma non troppo significativi dal punto di vista stilistico. In Il Ritratto della Sciamana (che poi diventerà Ŭlhwa) la protagonista è una sciamana che vive con la figlia sordomuta e che ritrova il figlio, convertito al cristianesimo: ne deriva un conflitto per la supremazia religiosa che finisce con esiti tragici.  Spesso nelle opere di Kim il trauma della guerra si ripercuote sulle storie famigliari e sui valori tradizionali in contrapposizione con quelli occidentali.

PREMI:

Tra i riconoscimenti ottenuti da Kim Tong-ni spiccano il Premio dell’Accademia Coreana delle Arti, il Premio Freedom Literature e l’Onore al merito della Repubblica di Corea.

OPERE TRADOTTE

  • The Cry of the Magpies
  • La Croix De Schaphan
  • Loess Valley
  • The Cross of Shaphan
  • La sciamana di Chatsil

 

ELENCO PARZIALE DELLE OPERE IN COREANO

  • Hwarangui huye (화랑의 후예, A Descendant of the Hwarang
  • Bawi (바위, The Rock)
  • Seondosan (선도산, Seondo Mountain)
  • Seomun geori (서문거리, Seomun Street)
  • Munyeodo (무녀도, Portrait of a shaman, 1936)
  • Hwangtogi (황토기, Loess Valley, 1939)
  • Sabanui sipjaga (사반의 십자가, 1955)

 

NOTE DI ANTROPOLOGIA CULTURALE

MYŎNGDO: Specchio convesso di bronzo che simboleggiava il sole e la luna o la luce divina universale. È anche un ricettore per gli spiriti. In origine veniva indossato dallo sciamano, che lo appendeva al collo o lo appoggiava sulla schiena come protezione per il corpo e l’anima. Il termine è anche sinonimo di “t’eaju” indica anche una donna posseduta dallo spirito di un bambino morto di vaiolo o di morbillo, grazie al quale lei è in grado di leggere il futuro, mentre di norma le sciamane vengono possedute solo durante i riti. 

INVOCAZIONI RITUALI: in certe scuole sciamaniche o buddhiste, si usa sfregare i palmi delle mani con un movimento rapido e leggero, mentre le si porta giunte alla fronte e poi di nuovo al petto.

KWISHIN: Spirito demoniaco di un uomo non sposato che vaga sulla Terra per via di rimpianti o rancori.

KIMCHI: Pietanza che in genere accompagna il riso o altri cibi. Viene preparato con daikon, cipollotti, aglio e peperoncino e poi fatto fermentare. Non manca mai nelle famiglie coreane che ancora oggi ne preparano scorte che possono essere conservate a lungo.

PUDDAKKŎRI: piccola cerimonia sciamanica

OGU: grande cerimonia sciamanica. È un tipo di “kut” (rituale sciamanico) che viene praticato molto sulla costa orientale della penisola e nella regione di Kyŏngsangdo. La sciamana invita uno spirito che vaga sulla terra per un desiderio irrealizzato o per un risentimento e lo aiuta ad andare in Cielo senza rimpianti. Il termine “ogu” deriva da una storia citata molto spesso nei rituali sciamanici, in cui si narra di un re malato (di nome Ogu, appunto) che guarisce grazie al coraggio e alla dedizione di Perittegi, l’ultima delle sue nove figlie.

CHŎNSHIN: Spirito del Cielo. È la divinità suprema del credo sciamanico e governa il mondo insieme agli altri spiriti.

SANSHIN: Spirito della Montagna. In Corea, ogni tempio possiede uno spazio a lui dedicato. In genere nei dipinti è raffigurato come un vecchio seduto accanto a una tigre, in una valle profonda.

CHESŎK: Il più venerato degli spiriti dello sciamanesimo, chiamato anche Chesŏknim.

CH’ILSŎNGSHIN: è lo Spirito delle Sette Stelle, che ha origine nel taoismo. La costellazione dell’Orsa Maggiore, con il quale s’identifica, controlla la buona e la cattiva sorte, forse perché è visibile durante tutto l’anno. Si tratta di uno spirito particolarmente venerato dalle donne che desiderano avere figli e in alcuni grandi templi c’è un intero santuario a lui dedicato (il rito in onore di questo spirito si chiama ch’ilsŏng).

PYŎLSANG: Spirito messaggero del vaiolo, detto anche “Ospite” (“Sonnim” in coreano) perché arrivava dall’estero. Non si sa di preciso ma si presume che tale malattia sia giunta in Corea dalla Cina. Per scacciare questo spirito, la sciamana esegue la cerimonia denominata “Sonnim-kut” o “Pyŏlsang-kori”

CHUDANGSAL KARIM: La sciamana esegue la purificazione percuotendo un tamburo bipelle perché si ritiene che questo suono faccia uscire gli spiriti maligni che vagano per la casa. Alla fine li scaccia dal luogo ormai consacrato.

KISAENG: Intrattenitrice esperta in varie arti il cui ruolo era simile a quello della geisha in Giappone.

MONG-DU-RI: I costumi indossati dalle kisaeng durante le danze nelle feste reali del periodo Chŏson (1392-1910): consisteva in un soprabito verde allacciato da un nastro rosso.

HWARANGI: Sciamani che suonano diversi strumenti durante un rito.

YŎLWANG-KUT o SIWANG-KUT: invocazione ai Dieci Re che governano l’inferno. Il Giudice tenuto in maggior considerazione è Yama (YŎNMA-TAE-WANG, in coreano), il Signore dei Morti preso dall’induismo.

TIRO ALLA FUNE: Un gioco folcloristico che coinvolgeva le persone di più villaggi. Si pensava che i vincitori avrebbero avuto un buon raccolto.

SŎNGJU: Rito in onore dello Spirito protettore della casa.

 GIARDINO DEI FIORI NEL MONDO DELL’OVEST: Terra promessa della dottrina buddhista, corrisponde grosso modo al concetto di Paradiso cristiano.

MUSAN SŎN-NYŎ: Secondo la leggenda della tradizione cinese, è la dea della bellezza che risiede sul monte Musan.

KAMJU: Bevanda a base di riso, ottenuta da una leggera fermentazione. Si consuma specialmente durante le festività.

MAKKŎLLI: Liquore lattiginoso che molte famiglie producono in casa ricavandolo dal riso. È una bevanda tipicamente coreana, molto nutriente e venduta a buon mercato specialmente nelle campagne.

YANGSHIN: Spirito del Drago. È una divinità di origine taoista che governa le acque. Talvolta invia sulla Terra delle tartarughe – i suoi messaggeri – in soccorso delle persone oneste e meritevoli.

SAMSHIN: Tre Spiriti, è la divinità protettrice del concepimento, della nascita e dei bambini.

SŎNGJUSHIN: Divinità guardiana che assicura la protezione e la ricchezza della casa.

CHOWANGSHIN: Divinità protettrice della cucina e della salute dei bambini e dei famigliari.

  SHINSŎN: Eremita taoista dai poteri sovrannaturali.