mercoledì 17 dicembre 2014

ANIME BALTICHE


Iperborea, 501 pp., 19 €

Oggi parliamo spesso di “Europa unita” ma continuiamo a non conoscere i nostri vicini. Le neo-ammesse Repubbliche Baltiche sono l’ultima frontiera prima del blocco russo e per noi sono solo un vago mistero, luoghi suggestivi ma in fondo grigi. Il viaggiatore e biografo olandese Jan Brokken ci dimostra che non è così: Estonia, Lettonia e Lituania hanno sempre avuto un panorama vivacissimo e vario.




Mikhail Einstein - Riga


Tallinn


Vilmius
 
 
 

 Nel suo tour, lo scrittore riscopre e ci regala grandi personaggi che su quelle terre fredde si sono formati: Hannah Arendt e Romain Gary, Arvo Pärt e Mark Rothko; e poi tanti altri che si sono incrociati senza toccarsi in quel puzzle d’identità linguistico-culturali nato da molteplici influenze, con la Germania e la Polonia da un lato e l’Unione Sovietica dall’altro e l’ebraismo come tratto comune.


Hannah Arendt
 
Arvo Part

 http://youtu.be/tdoafPTSQpE


Mark Rothko

 
 
 
 
 Ci sarebbe abbastanza materiale per un romanzo ricco d’avventure ma “Anime Baltiche” non è una storia di fiction quanto piuttosto un intreccio corale di voci reali. Come un Chatwin del Nord con più talento narrativo e meno supponenza, l’autore ripercorre i sentieri del passato per riportare aneddoti e frammenti che molti hanno dimenticato, nomi cambiati decine di volte nel corso dei secoli e che sono stati relegati ai margini della Storia ufficiale. Ci si sposta su una cartina che, per noi occidentali, resta confusa ma ogni ritratto ha un fascino che rende umani i protagonisti, mettendo al contempo in luce il senso di frattura che aleggia, perché sembra che gli anni della diaspora e poi la repressione così incredibilmente vicina abbiano rinforzato il senso di appartenenza di questi popoli.

martedì 9 dicembre 2014

ACQUEFORTI DI BUENOS AIRES Roberto Arlt


Del Vecchio Editore, 291 pp., 15 €


 
Le “Acqueforti di Buenos Aires” sono piccoli ritratti di una città che cambia. Roberto Arlt è uno scrivano-fotografo che, prima di cesellare i suoi articoli scendeva in strada e descriveva le figure tipiche di una nuova urbanità: il commerciante, l’indolente, l’emigrato appena sbarcato, il giocatore. Il risultato è una serie di cammei tracciati con sagacia dallo sguardo di un outsider e apparsi sul quotidiano “El Mundo” nel 1933. L’autore non risparmia nessuno nella sua critica ironica della nuova società e, con i suoi strali, blocca un momento, un quadretto o un modismo caratteristico. Il primo rimando è quindi alle “Fotografie” di Rodolfo Walsh, ma c’è anche qualcosa dell’attenzione linguistica di Roberto Fontanarrosa in questi articoletti mordi-e-fuggi.
Ed ecco il pregio e insieme il limite di questa raccolta: da un lato è possibile piluccare i singoli brani come piacevoli intermezzi che mettono in luce i nostri stessi difetti; dall’altro la godibilità non regge a una lettura più prolungata e la sequenza perde un po’ di forza man mano che si procede. Inscrivendosi in un nutrito filone di giornalisti umoristici latino-americani – e rio platensi in particolare – Arlt non arriva alle vette del racconto di costume toccate da altri scrittori del genere, basti pensare alle istantanee narrative di Dorothy Parker sul “New Yorker”.


 
 
Acqueforti” può quindi essere inteso come completamento di un corpus ricco e interessante che va dal romanzo alla al teatro e che ha impressionato giganti letterari come Jorge Luis Borges. Come sempre, ottima l’edizione di Del Vecchio che concede spazio alle note e apre una finestra curiosa sul mondo della tradizione.


  

lunedì 1 dicembre 2014

KIKU-SAN La moglie giapponese


Pierre Loti
O barra O, 176 pp., 14 €


 
L’Ufficiale Pierre Loti sbarca in Giappone nel 1885. Da circa vent’anni il Paese asiatico è stato forzatamente aperto ai commerci con l’Occidente e il porto di Nagasaki non appare molto diverso da qualsiasi altro, agli occhi di un europeo. Eppure per tutta l’estate della sua permanenza nel Sol Levante resta nel proprietario di questo diario un senso di straniamento che non si può spiegare con il semplice orientalismo che proprio in quel periodo, in Francia, stava conquistando artisti e intellettuali. C’è qualcosa di profondamente differente nell’Arcipelago, una delicata eleganza ricercata e insieme spontanea che nasce dalle piccole cose e che recentemente Leoanard Koren ha sintetizzato nelle sue note sul wabi-sabi quale fondamento dell’estetica nipponica. Si tratta di una qualità immateriale che richiama il Vuoto; lo stesso concetto sul quale si sofferma Loti, lo stesso che volevano catturare Ozu e Wenders nei loro film.  Nelle pagine di questo libro, il personaggio cerca un contatto: appena arrivato, prende con sé una ragazza del posto e nel triangolo tra lui, Crisantemo e Yves, ci sarebbero gli ingredienti per un dramma sentimentale, se la vicenda non si svolgesse in un clima sempre misurato.
 
 
Molti detrattori hanno criticato lo sguardo esotizzante dell’autore e il suo atteggiamento “da colonizzatore” ma bisogna riconosce che il marinaio non si presenta come esperto etnografo. È un viaggiatore che attraversa una cultura Altra e, pur partendo da parametri di riferimento distorti che lo rendono impermeabile, tenta di penetrarne il mistero. Ancora oggi i fraintendimenti sono inevitabili: basta sfogliare i libri di MacFarlane o di Carey per rendersene conto. “Kiku-san” è interessante sia per la testimonianza storica, sia per il suo stile dal tocco impressionistico.




 
Inevitabilmente tornano in mente la Madame Butterfly di Puccini - e la splendita trasposizione grafica di Lacombe, in questi giorni in mostra in Messico -, la Mousmé (!) (signorina) di Van Gogh - ispirata proprio a Kiku - le foto tenui della Scuola di Yokohama e forse anche le bambole di Hatsuko Ôno, dato che agli occhi dello straniero le giovani rimangono dei giocattoli graziosi, piccoli e fragili ma superficiali.



 
 

lunedì 24 novembre 2014

HANOI Adriana Lisboa


 
In una società multiculturale non esistono riferimenti monolitici e l’identità dipende da una combinazione di fattori. I personaggi di Adriana Lisboa nascono da queste poliedriche combinazioni culturali e s’incontrano sul piano della condivisione psicologica, all’interno del tessuto tipico del melting pot statunitense. David, figlio di un immigrato brasiliano e di una messicana, conosce Alex, una vietnamita di seconda generazione, nel giorno in cui gli viene diagnosticato un cancro. Inizia qui un duplice percorso, all’apparenza divergente: da un lato lui si distacca dal mondo materiale; dall’altro sembra assaporare gli affetti famigliari, nel momento in cui sa di doverli perdere. La sua vicenda e quella della ragazza s’intrecciano, trovando dei punti di contatto nel senso d’incompletezza che deriva dallo sradicamento e dalla difficoltà d’inserirsi in Paese respingente. “Hanoi” analizza le implicazioni soggettive dello stesso sommovimento storico che è alla base della poesia di Huong Nguyen. Nel processo di accettazione /esclusione la città annamita diventa un luogo mitico, evocato nei ricordi dei vecchi che sono partiti dal Vietnam per cercare la fortuna. Il romanzo si sposta quindi su diversi piani, sia temporali sia spaziali grazie all’uso di registri linguistici alternati: l’inglese diventa materno per chi è nato su suolo americano, mentre il vietnamita assume un valore musicale fino a far dimenticare la semantica. Il microcosmo interiore, modificato dagli eventi, riverbera in comportamenti nei quali ognuno si può rispecchiare, leggendoli attraverso la propria esperienza.
 


 

giovedì 20 novembre 2014

MACONDO: THE WORLD OF GABRIEL GARCÍA MÁRQUEZ Fausto Giaccone


Solo fino a lunedì, al Palazzo Ducale di Genova saranno esposte le foto del reportage “Macondo: the world of Gabriel García Márquez”. L’intensità del bianco e nero di Fausto Giaccone mostra un mondo che è certamente magico ma che, davanti all'obiettivo, assume la concretezza della realtà. La Colombia caraibica della “Cuesta” ha un sapore esotico ai nostri occhi ma non si tratta di una visione falsata in senso deteriore come avveniva nei quadri di Ingres. Aracataca, Sucre, il Río Magdalena:  i luoghi prendono corpo, spessore e profondità; diventano set tangibili dell’immaginazione del lettore /osservatore concretizzando l’dea che sia necessario   “Vivere per raccontare”: così forse si perde parte del fascino della lettura ma si ottiene un effetto cinematografico nitido e pulito.

Il fotografo siciliano ha viaggiato in una regione difficile, tormentata da anni di complicati conflitti, nella quale presente e passato convivono su piani prospettici paralleli, sequenziali come scatole ottiche. Qui personaggi reali e fittizi si mescolano ai fantasmi in un’unica iconografia di massa che, se da un lato cerca d’interpretare la modernità, resta ancorata alla tradizione. Come ha sottolineato Juan Gabriel Vásquez, troppo spesso l’opinione pubblica dimentica i traumi recenti per incoronare nuovi eroi che improvvisamente e senza  volere diventano portavoce del sentimento dell’intera nazione. Le persone comuni – le anziane, i musicisti, le famiglie – sono coinvolte in questo processo che è sia centripeto che centrifugo. Protagonista assoluto è il Tempo come presenza immobile annidata nella densità delle ombre, nella capacità della macchina di cogliere la poesia della contraddizione.    


venerdì 7 novembre 2014

LE REPUTAZIONI Juan Gabriel Vasquez

Feltrinelli, 147 pp., 16 €



“Le Reputazioni” è un romanzo di presenze illusorie in cui i personaggi si costruiscono grazie all’interpretazione e non al dato oggettivo. In questo gioco, i nomi sono importanti ma allo stesso tempo secondari perché le identità si confondono, nascoste dietro il pennino o dietro al vetro di una sala di doppiaggio. Dalle pagine del giornale, le caricature di Javier Mallarino sono diventate la voce della Colombia, l’unica bussola – tagliente e ironica – per una realtà fatta d’inganni. Nei ricordi del disegnatore, i piani temporali s’intrecciano secondo una trama che ripercorre un passato incerto per trovare chiarezza nel futuro. Le vignette hanno una forma diretta e un linguaggio non immediato che riporta in qualche modo proprio alla poesia e Ricardo Rendón come Silva o come Antero de Quiental. 


Parole e tratti hanno il potere di plasmare l’opinione pubblica e di modificare la vita dei singoli individui, entrando nel racconto degli episodi privati e cambiandoli dall’interno: le immagini giungono rapidamente, si formano nel cervello, prendono corpo sulla carta e, come animate da una firma, si trasformano in qualcosa di reale e si muovono insieme alle persone e con il loro autore per le strade della città. Il dubbio genera gli scenari possibili in un processo che ha lo stile analitico di McEwan e la raffinatezza di Marías, senza lo stesso compiacimento colto della citazione farraginosa. Ogni elemento ricade in una precisa economia che fa iniziare la ricerca del protagonista con la comparsa improvvisa di una donna. Samanta Leal rievoca i frammenti di un evento shoccante, che il tempo e l’oblio avevano rimosso. 

mercoledì 29 ottobre 2014

WATERSNAKES Tony Sandoval


Tunué, 140 pp., 18.90 euro

“Watersnakes” riprende i temi e i paesaggi di “Doomboy”, ma lo fa inaugurando una diversa chiave allegorica, magica e immaginaria in cui l’ambientazione tipica della Città Immobile si fonde con l’universo fantastico nato dall’incontro di due ragazzine alla scoperta dell’amicizia e dell’amore. C’è quindi qualcosa di Alice in queste pagine, ma il nonsense cede piuttosto il passo al racconto gotico e a turbini celesti. La raffinatezza di “La Sposa Chiocciola” di Zhen Li Jang incontra la solidità epica di Claymore , in un’opera a metà tra il surreale e l’iperreale, tra Leonor Fini e Arnold Bocklin, in cui sono i colori a marcare il passaggio da un’atmosfera all’altra, dalla cupa pastosità delle scene d’azione alla rarefazione diafana dei cieli e del mare., sintomo dello scorrere del tempo e delle stagioni L’impossibile avvicinamento tra Mila e Agnés rimanda ai miti classici o ai cicli eroici della tradizione norrena che qui vengono rielaborati in un vortice che diventa al contempo essenziale e pieno di piccoli dettagli. Le due protagoniste – trasformate da bambine comuni a icone salvatrici – e tutte le misteriose creature che ruotano intorno al loro rapporto sono la traduzione del bisogno ancestrale di creare un proprio doppio, una proiezione che sia tanto affine quanto speculare rispetto agli standard.Tony Sandoval ripeopone uno stile personale e inconfondibile, che entra nel profondo della psiche umana fino a rappresentarne i mutamenti. Si tratta ancora una volta di una graphic novel maturo, che mette in scena le lacerazioni e i cambiamenti dell’adolescenza, esternandoli.
 

martedì 28 ottobre 2014

IL PARADOSSO DEL CONTROLLORE Gonzalo Hidalgo Bayal


 
Edizioni Socrates, 206 pp., 13.50€

Questo è libro denso che invita a rileggerlo appena lo si finisce per cogliere le sfumature dello stile colto di Hidalgo Bayal, molto simile a quello di Marías. La rete di simboli si dipana essenzialmente dall’iconografia cristiana, che si svela poco a poco attraverso l’esperienza. Un uomo scende dal treno in un luogo dimenticato e rimane bloccato in una sorta di limbo, prendendo il posto di un casellante che scompare misteriosamente. È una dimensione sospesa, sfiorata e poi abbandonata dalla modernità e, proprio come il “Paese dei Gatti” di Murakami, può essere considerato un’allegoria dell’aldilà. Pochi elementi lo legano al passato: la sua bottiglia di vetro e una lettera di cui nessuno conoscerà il contenuto ma che racchiude il valore evocativo della parola come segno. Se questo grigio impiegato è stato trasformato dal fato in uno straniero errante, anche tutti gli altri personaggi sono identificati in base alla loro funzione all’interno del racconto: ci sono “il ragazzo del bar”, “il venditore di cialde”, “lo straccivendolo” e “l’uomo dell’angolo”, ombroso profeta che parla solo per massime latine: ciascuno resta per il tempo necessario a compiere una missione e quindi si dissolve nel nulla seguendo le traversine dei binari. Con un progressivo annullamento dell’identità, il destino del controllore si concretizza con il fuoco, che qui ha la stessa valenza che assume nel romanzo “Il Deserto” del cileno Carlos Franz. Infatti, non è chiaro chi sia il nemico che arriva nella notte ad appiccare gli incendi e viene il dubbio che si tratti di un alterego del protagonista. 

giovedì 9 ottobre 2014

PERCORSI NEL GHIACCIO – Due giovani ricercatori tra Antartide e Groenlandia.






È in corso fino all’8 dicembre al Castello d’Albertis, la mostra PERCORSI NEL GHIACCIO – Due giovani ricercatori tra Antartide e Groenlandia.
Le foto esposte nella saletta dedicata alle esposizioni temporanee mostrano due modi letteralmente agli antipodi, due modi diversi di intendere la ricerca. Alessandro Belleli, antropologo laureato all'Università di Genova, ha lavorato per il più importante archivio fotografico danese sulle popolazioni native della Groenlandia; Lorenzo Moggio è laureato in Fisica dell’Atmosfera e ha lavorato presso la stazione di ricerca italo-francese Concordia contribuendo ad alcune importanti rilevazioni sui cambiamenti climatici e sui dati utili a fare le previsioni meteo. Il primo osserva l’umanità; il secondo studia l’ambiente che ci circonda in un luogo isolato, lontano da qualsiasi insediamento, irraggiungibile dall'esterno per i nove mesi di un rigidissimo inverno a -85° .
La cifra che accomuna le due serie di immagini è il modo di decifrare il paesaggio traendone un’impensata bellezza e una nuova dimensione di comunanza e di interesse scientifico.

Visto il tema quasi sconosciuta ai più, la conferenza inaugurale è davvero appassionante. Il tono calmo di Alessandro e la musica di Nive Nielsen – un’artista groenlandese di grande successo internazionale  – trasportano il pubblico in un’atmosfera rarefatta, magica, in cui il sole di mezzanotte proietta ombre arancioni sulle dune di sabbia e ghiaccio.
 Kangerlussuaq (o Sondrestorm) è un’ex base militare americana, ufficialmente dismessa con la fine della Guerra Fredda, ma che porta ancora i segni del suo passato – coloniale prima; militare poi. Oggi le casette modulari ridanno falso colore a un panorama brullo e bianco che ricorda paradossalmente l’Arizona e nel quale le distanze enormi hanno modellato una differente concezione dei rapporti interpersonali: per andare da un posto all'altro è spesso necessario prendere l’aereo; gli status sociali imposti dalla logica commerciale occidentale hanno indotto bisogni inediti, annullando i valori dell’educazione tradizionale e creando un forte divario tra le classi. A Sisimiut – seconda città della Groenlandia  – il passaggio dall'antico modello di valori allo stile di vita occidentale è molto più evidente perché i suoi 5.600 abitanti hanno sviluppato una concezionale urbana, che tende a marginalizzare i costumi tradizionali.

Il collegamento via Skye con Lorenzo Moggio, impegnato a Roma nell'addestramento di preparazione alla 30° spedizione in Antartide ha un effetto ancora più straniante sulla platea rapita. La curiosità va tutta alla descrizione dei gesti meticolosi che servono a portare a termine i compiti più semplici: cambiare una lampadina, cucinare, sostituire un cavo rovinato; e poi naturalmente fare la manutenzione della strumentazione metrologica …. Sembra di sentire Samantha Cristoforetti che parla del suo addestramento speciale per andare sulla Luna. E in effetti i paesaggi fotografati da Moggio hanno qualcosa di selenico, incantato e lontano: le luci verdi che illuminano i due cilindri della base ricordano una versione spaziale delle “Mille e Una Notte” mentre i globi sonda che misurano le variazioni dell’atmosfera hanno l’aspetto di piccoli satelliti, leggeri e luminosi.


È affascinante ma difficilissimo seguire il discorso puramente scientifico, i dati snocciolati con competenza e fervore e, anche se Lorenzo cerca di coinvolgere tutti riportando esempi e aneddoti, la maggior parte delle domande si concentrano sul quotidiano di una realtà completamente aliena, che rischia di diventare alienante nel trascinarsi dei giorni, nonostante ai ricercatori siano offerte tutte le comodità.

Coniugare queste due esperienze, il Nord e il Sud,  porta a interrogarsi sull'emergenza ecologica e l’interazione tra il fattore ambientale e le comunità umane che abitano il territorio.

Al Nord, lo scioglimento dell’Ice Cap ha reso sottile la calotta e ha modificato le abitudini di vita delle popolazioni locali. Ma i cambiamenti ecologici sono solo una concausa del progressivo slittamento culturale verso standard scandinavi e statunitense.


venerdì 26 settembre 2014

ROBERT CAPA IN ITALIA. 1943-1944


La mostra ROBERT CAPA IN ITALIA. 1943-1944 in corso al Palazzo Ducale fino al 5 ottobre è particolarmente importante per noi italiani, perché racconta una storia troppo facilmente dimenticata; ma l’occhio di chi guarda non è mai imparziale, nemmeno quando l’obiettivo è quello di uno dei grandi padri del fotogiornalismo. Gli scatti presi al seguito dell’esercito statunitense sbarcato in Sicilia tra il 1943 e il 1944 sono formalmente stupendi, ineccepibili, persino toccanti nella descrizione del lato umano della guerra. La macchina cattura la presenza (e l’assenza) umana e i sentimenti di un popolo piegato prima che l’aggressione bellica, anche se la parola più ricorrente nelle didascalie del settimanale “Life” all’epoca era “rovine”. Tuttavia non sbagliano i commentatori che hanno parlato di “Costruzione del Mito”.
 
Il reporter mostra allo spettatore un lato molto parziale della realtà: quello delle folle festanti e dei soldati come eroici liberatori giunti a scacciare i cattivi; ne è la prova l’immagine che fa da locandina all’esposizione: le truppe si concedono un momento di riposo nei pressi della cattedrale di Triona, con una Vittoria Alata sullo sfondo.
 
Scrive lo stesso Capa nei suoi diari che si tratta sempre di immagini semplici, che vogliono testimoniare la verità monotona della guerra. È inevitabile sentire qui un’eco dello stile asciutto di Hemingway che con l’amico condivideva una visione pulita, che sembra filtrare attraverso i canoni della pittura figurativa classica e che inaugura un’estetica cinematografica anche nella presunta spontaneità, ellenica e al contempo concettuale quanto un tableau piège di Spoerri.
 
Tanto il bilanciamento quanto il disordine suggeriscono una quotidianità straniante di ogni conflitto, ma è una visione assolutistica che si ribalterà soltanto con la disillusione del Vietnam (dieci anni dopo). Nel 1944, solo i primi piani ravvicinati di due prigionieri confutano in parte questa impostazione e si capisce da dove Tarantino abbia preso i suoi modelli sovvertendone il significato in “Bastardi Senza Gloria”.

I medici impegnati sul fronte sono illuminati come su un set; la ragazzina tratta in salvo dalle macerie e portata a spalla verso un luogo sicuro è seguita passo passo, enfatizzando l’aspetto di marketing di certe azioni piuttosto che altre; persino i paesaggi appaiono come allestimenti scenici entro i quali le figure sono distribuite ad arte.
 
 Sulla scia di questa idea propagandistica (non si sa fino a che punto inconsapevole), le donne e i bambini i protagonisti affianco alle truppe. Le foglie mimetiche sui caschi somigliano al lauro che incoronava gli attori greci e si sente una nota di comicità nella contrapposizione caricaturale tra il forte soldato americano e il carabiniere basso di statura che gli offre da bere. La morte è una costante lasciata tra parentesi: si scorgono i pennacchi di fumo dei combattimenti, i carri armati e addirittura i corpi per le strade ma tutto questo fa parte di un equilibrio compositivo fatto di linee e geometrie auree.


 
 È lo stesso metodo che il reporter aveva adottato per documentare la Guerra Civile spagnola, privilegiando l’aspetto vitale, simbolico delle situazioni – lontano dalla drammaticità Metthew Brady e più prossimo a Cartier-Bresson. L’ottimo allestimento lascia dialogare i singoli scatti e i numeri originali di “Life” li inseriscono in un progetto narrativo strutturato per un pubblico che si stava già abituando a un linguaggio dinamico dell’informazione. Considerato in quest’ottica, acquista senso lo schermo sul quale scorrono alcune delle opere in mostra, creando un’interessante dicotomia tra originale (fotografico) e riproduzione. Sui sentieri di montagna nei pressi di Napoli, le colonne ordinate si contrappongono alla vegetazione e alle formazioni sparpagliate sulle rocce; il misticismo umile di un piantone che consuma il rancio tra gli alberi morti completa una serie di foto di ragazzi rannicchiati nelle trincee in posizione fetale – precognizione del concetto di naive american.
La piccola selezione permette all’osservatore di assumere un duplice approccio: prima una visita attenta ai particolari e quindi un secondo giro più rapido che catturi la coralità delle masse,  il lato quasi gioioso insieme a quello - nascosto - del dolore.
 
 





domenica 14 settembre 2014

EMILY CARR: IL COLORE CHE SVELA LO SPIRITO DELLE COSE


L’AMANTE DEL BOSCO Susan Vreeland

Neri Pozza Editore, 362 pp, 14.50 €

 



A volte un romanzo è un buon pretesto per riscoprire aprire porte inaspettate. È ciò che avviene con “L’Amante del Bosco” di Susan Vreeland incentrato sulla figura della pittrice canadese Emily Carr , ispirata dalla maestosità delle foreste e dalla trascendenza della cultura dei nativi.
Totem Walk at Sikta
 
 Quando si legge un libro in cui compaiono personaggi realmente esistiti bisogna sempre considerarlo come una finzione, senza pretendere la precisione di un resoconto storico. La scrittura appassionata e appassionata trasmette la potenza dei colori della tavolozza: pennellate pure, tonalità non scientifiche ma alterate dalla percezione emotiva, composizioni in cui prevale il movimento. Il gesto creativo si fonde con l’urgenza comunicativa, mentre le antiche tradizioni delle Prime Nazioni traduce la vitalità di un mondo minacciato. Attraverso le linee – squadrate ma fluide – la deformazione che rende l’importanza gerarchica dei dettagli; grazie ai soggetti e all’alterazione percettiva, l’artista si trasforma in messaggera, portatrice di della trascendenza. Secondo Walt Whitman “Il minimo germoglio mostra che la morte non esiste” ed è con questa idea che la Carr si spinge nei luoghi più remoti di un’affascinante geografia, selvaggia quanto i Fauves francesi ma animata da una forza diversa, da un ritmo che nasce dal suo cuore e dal suono dei tamburi, più vicina al linguaggio  volumetrico del Gruppo dei Sette di Harris, Lismer e Carmichael.



Blue Sky
 
Le pulsioni sensoriali fisiche sono sublimate  nel desiderio di dipingere, fulcro centrale della vita. Nei disegni, negli acquarelli e sulle tele, l’individuo sembra quasi scomparire di fronte alla grandezza degli alberi ma in realtà le specie vegetali e i pali totemici racchiudono un mondo di storie, rappresentando i mutamenti psicologici e i tratti fondamentali del carattere. I boschi sono fatti di luci e ombre, toni chiari e toni scuri, saturazioni e contrasti. Tronchi e manufatti indigeni sono geometrie sconnesse, scosse dai cambiamento atmosferici. 
 

Reforestation

Incompresa dalla critica ma inevitabilmente legata al lavoro etnografico di Franz Boas con i Kwakiutl del Nordovest, Emily era dolorosamente consapevole di lavorare in un’epoca (tra il 1906 e il 1941) in cui lo sguardo antropologico sulle culture aborigene era asservito all’impresa colonialista.
A Skidegate Beaver Pole

Susan Vreeland indaga la tensione psicologica derivata da questa situazione in bilico tra la purezza dell’ideale e la necessità, anche narcisistica, di farsi conoscere per denunciare la gravità della situazione. Con l’airosità dei periodi, la sensibilità letteraria traduce le variazioni cromatiche del paesaggio, marcando il passaggio dagli spazi aperti (ma non incontaminati) del Nord America all’ambiente parigino.
 


Autumn in France
 


Emily cercò, infatti, nuovi orizzonti in Europa e trovò una crescita tecnica ed emotiva che poi applicò nell’amore panteistico per il territorio.
 Grazie alla distorsione iconografica del soggetto lasciando che luoghi e delle piante diventassero icone e metafore dei tratti caratteriali degli individui.




Kitwancool


 
 Indian Church


lunedì 8 settembre 2014

TAKASHI MURAKAMI: CICLO DI ARHAT


 
Domenica 7 settembre 2014 si è conclusa  al Palazzo Reale di Milano la mostra dedicata al Ciclo di Arhat del giapponese Takashi Murakami, uno dei degli più celebri e innovativi del panorama contemporaneo. in bilico tra arte grafica, installazione e scultura, la sua irriverenza ha denunciato la superficialità della cultura commerciale di massa inventando uno stile – il Superfat – fatto di personaggi teneri deformati, ammiccamenti espliciti e ripetizione serializzata di pattern decorativi. La nuova la selezione (purtroppo incompleta) presentata in Italia prende invece le mosse dal trauma che ha scosso la coscienza collettiva del Sol Levante dopo la catastrofe di Fukushima del 2011: non solo una tragedia causata dalla natura ma anche un brusco risveglio da una moratoria adolescenziale che metteva l’uomo al centro di un sogno iper-tecnologico.

I pezzi esposti sono pochi ma impressionanti.



Negli autoritratti, l’autore si rappresenta in piedi sopra una nebulosa spaziale, dominatore di un buco nero che si ripete nelle diverse varianti del soggetto cambiando soltanto il colore dello sfondo fino a raggiungere l’ottimistica apoteosi della rinascita della Terra con lo sbocciare di sorridenti margheritine autocitazioniste. Il tema fioritura di un nuovo mondo post-apocalittico è frequente nella narrativa visiva nipponica sin dai tempi di Hiroshima e, in grandi classici della fantascienza animata come Capitan Harlock, aveva già assunto la veste simbolica dei semi pronti a fiorire da un suolo apparentemente contaminato. Qui lo stile grafico è quello della Street Art ripresa poi dai writers di tutto il mondo, dove persino i teschi diventano faccine carine e colorate. I pianeti di carnei fucsia, azzurri e verde acido sorreggono l’uomo sopravvissuto che a sua volta genera l’Albero della Conoscenza (con qualche richiamo al mito greco di Atena e uno sguardo ai corti indipendenti di Kôji Yamamura). Il dramma si stempera con l’intervento salvifico degli Arhat, i saggi della tradizione buddhista, affiancati dai possenti demoni guardiani. Oltre cento monaci sfilano sui pannelli, tutti raffigurati in pose differenti e sempre con il tono scherzoso di un anime o di un manga di Hokusai in versione tecnicolor. Le dimensioni mutano e i maestri più grandi indossano tuniche che riprendono i motivi della natura: la notte e il giorno; la flora e la fauna mentre Sole e Luna sono brillano simultaneamente sulla Montagna degli Immortali e i Demoni-Cane hanno barbigli colorati e artigli come gemme. La ricchezza della composizione fa scoprire sempre dettagli inaspettati mentre un retino a rombi optical copre un originario fondo che rivela appena un ammasso di ossa, come se la costruzione della civiltà, basata sul bisogno innato di trascendenza, poggiasse in realtà sulla ripetizione della Morte nella Storia.


 
 

    

giovedì 7 agosto 2014

IL BALLO Irène Némirovsky



Henri Cartier-Bresson



In questo romanzo breve, Irène Némirovsky descrive turbamenti di una ragazzza nel passaggio dall'infanzia all'adolescienza. Antoinette è una giovane che inizia ad aprirsi al mondo, sognando l'amore romantico e il luccichio delle feste; ma i desideri sono offuscati dalla gretta realtà del suo corpo che, preda dei mutamenti dell'età, non sembra più appartenerle.

Il racconto, probabilmente in larga misura autobiografico, lascia sullo sfondo questa materialità non voluta per concentrarsi invece sugli aspetti psicologici della crescita. Lo stile lucido e moderno dell'autrice gioca su una struttura essenziale, che contrappone le emozioni della protagonista a quelle di sua madre.

Rosine e Alfred Kampf sono due nuovi ricchi e la relazione coniugale sembra incrinarsi davanti alla necessità di mantenere una facciata che conceda loro una certa visibilità in un quartiere della Parigi novecentesca. Il contegno di fronte ai vicini e alla servitù ha il sapore fasullo della posa aristocratica e, quando decidono di dare una festa nella grande casa comprata quasi miracolosamente con i proventi della speculazione finanziaria, scrivono inviti a tutti gli individui più influenti, nobili e chiacchierati dell città.

L'attesa dell'evento scuote tanto la madre quanto la figlia perché corrisponde a un debutto, rappresenta l'ingresso in una società dalla quale entrambe si sentono escluse, ma mentre per Antoinette quest'impressione è soprattutto soggettiva e idealizza il concetto della Morte associato alla Bellezza, la donna esterna la sua ansia e il suo bisogno di successo nei meticolosi preparativi per il party. Per lei si tratta dell'oppurtunità di vivere una seconda giovinezza immersa nel lusso frivolo e mondano che aveva sempre sognato. La fame di successo offusca ogni altro istinto, compreso quello materno: quella che ieri era una bambina da coccolare oggi è un peso che deve sparire in modo che tutto sia perfetto e gli ospiti non siano imbarazzati.

Di fronte alla freddezza formale della madre, Antoinette è addolorata fino a raggiungere una forma d'amore che confina con l'odio e che si manifesta con l'impuso di compiere un "gesto selvaggio" e distruttivo. Spinta dall'idea di vendetta, straccia i biglietti destinati agli invitati e li getta nelle acque scure della Senna. È l'immagine più potente dell'intero testo, sintesi metaforica della fugacità dell'esistenza: le buste accartocciate e poi ridotte in coriandoli, vengono inghiottite dal buio mentre intorno brillano le luci della famosa Ville Lumière.

Numerosi personaggi dai tratti ben delineati fanno da corollario al nucleo narrativo costituito dalla tensione madre / figlia. Innanzi tutto Alfre Kampf, il padre, che interpreta la fatica dell'ascesa sociale in una versione tipicamente maschile. Secondo la sua visionedelle cose, la ricchezza improvvisa si accompagna alla presenza di una bella moglie, ornamentale ma non sostanziale, che si deve far sentire il meno possibile e parlare solo per luoghi comuni. Per il resto, l'uomo appare quasi come un'ombra, con le caratteristiche del grigio bancario borghese in un contesto nel quale i soldi contano più dei sentimenti e il cuore s'inaridisce.

E poi ci sono le due istitutrici di Antoinette, "l'inglesina" Miss Betty – che pare meritare considerazione solo in virtù della sua nazionalità – e la signorina Isabelle. Quest'ultima è il complemento perfetto che integra sia la figura di Rosine sia quella della figlia. Da un lato i baci tra l'insegnante di pianoforte e il suo "amante" scatenano l'azione ribelle di Antoinette e, in maniera quasi antitetica, i commenti pungenti della donna sembrano umiliare ancora più profondamente la padrona di casa ferita dal fallimento della festa.

Ovviamente, infatti, all'ora stabilita nessuno si presenta alla porta e l'inutilità delle sale pronte per il ricevimento riecheggia la futilità ingiusta di una recita collettiva in cui persino i camerieri – ultime comparse di un dramma tragicomico – abbandonano il loro ruolo per dimostrarsi vilmente umani.

Il finale è una piccola perla d'equilibrio: di nascosto, Antoinette spia la disfatta della madre, la vede far cadere la maschera, e sciogliersi, e così riconquista un briciolo dell'affetto perduto in un abbraccio che è dettato esclusivamente dalla voglia di protezione tardiva. Non c'è calore di un questa vittoria meschina: la protagonista ha completato il suo personale rito di passaggio, è emersa dall'angolo nel quale era stata relegata e ha raccolto l'eredità di una persona ormai sfiorita ma la trasformazione genera una pietà transitoria e artefatta, anche se apparentemente sincera.

Marc Chagall

 

L'opera di Irène Némirovsky – ebrea ucraina emigrata a Parigi per sfuggire alle persecuzioni razziali solo per poi cadere vittima del nazismo - è stata riscoperta solo di recente dal grande pubblico e comunque si colloca ancora in una sfera di nicchia per estimatori. Sarebbe limitativo rubricare l'autrice sotto l'etichetta del femminismo: certamente in Antoinette si leggono i prodromi dell'emancipazione di genere e il gesto di distruggere le lettere che le erano state affidate potrebbe essere interpretato come una rottura definitiva con il canone che voleva la donna sempre remissiva e inquadrata nelle regole vigenti. D'altronde siamo nell'epoca in cui le rivendicazioni delle donne prendono corpo e spessore letterario un po' in tutto il mondo e Virginia Woolf scrive "Una Stanza tutta per Sé". Nella Némirovsky, però, si respira il cosmopolitismo dei salotti parigini e, in controluce, si delinea lo sforzo di affermazione degli ebrei della nuova classe media. In questo senso, "Il Ballo" anticipa i duri temi affrontati in "David Golder" – pubblicato un anno dopo con gran plauso della critica – ma qui la critica all'etica del denaro assume sfumature prettamente femminili che si avicinano alle pagine di Colette o di Georges Sand lasciando sullo sfondo gli argomenti tipici del romanzo yddish mitteleuropeo per favorire la chiarezza dell'analisi psicologica di ciascun personaggio e il bilanciamento di uno stile cesellato che forse riecheggia Flaubert..
Tornando a spostare la latitudine geografica ma mantenendo il medesimo asse cronologico, si potrebbe accostare questo testo ai racconti della scrittrice statunitense Dorothy Parker che, descrivendo la vita mondana degli affollati salotti della upper class, riporta alla stessa sensazione di vuoto emotivo.

martedì 29 luglio 2014

TAZAKI TSUKURU quotes





Natalia Gonchalova
 
Pensare liberamente è un po’ come uscire dai limiti del proprio corpo

L’originalità non è altro che un’abile imitazione

Ogni cosa è necessariamente contenuta entro certi limiti e l’atteggiamento degli uomini verso i confini è ciò che definisce la loro libertà

Il suo sviluppo interiore era stato bloccato da qualcosa, qualcosa che lo infettava

Il talento si rivela e funziona solo se sostenuto da un’enorme concentrazione fisica e mentale. Ma basta che da qualche parte nel cervello una vite si allenti o che qualcosa nel corpo si spezzi e la concentrazione svanisce come brina al sole (p. 63)

Le persone, tutte quante, hanno un colore (p. 65)

Ebbe l’impressione che una dimensione temporale ormai superata venisse a riempire lo spazio intorno a lui (81)

Poi, come quando si scrive un piccolo appunto ai margini di una pagina,  aggiunse: … (98)

Eppure veder sbiadire e poi dissolversi poco per volta qualcosa che un tempo aveva avuto un significato tanto grande, era devastante (126)

La funzione della stazione cambia insieme alla società (131-32)

La maggior parte della gente a questo mondo non ha difficoltà a seguire gli ordini. Al contrario; è felice di venir comandata (135) → Sweet Dreams

Penso che la verità sia come una città sepolta. Ci sono casi in cui con il passare del tempo si accumula sempre più sabbia e altri in cui la sabbia viene soffiata via e tutto torna alla luce (138)

Il talento è come un recipiente: per quanto uno si sforzi  non riuscirà a cambiarne le dimensioni (140)

Non avevamo il coraggio di staccasi dal posto dove eravamo cresciuti e di separarci dai nostri amici del cuore con cui andavamo tanto d’accordo. Non eravamo in grado di lasciarci alle spalle quel nido accogliente (141)

Ebbe come la sensazione che l’aria nella stanza cambiasse natura. Come se l’appartamento avesse una volontà propria. In grado di alterare la sua percezione del vero e del falso (164).

La gente non rimaneva ferma, la gente cambiava ogni giorno (167).

Che la forza sia con te! Vedrai che non sarai da meno dei salmoni (171).

Aveva la sensazione che del liquido si diffondesse nel suo petto come una calda emorragia (173) [ …] e per un po’ si abbandonò a quella dimensione di dolore come quando si galleggia facendo il morto in acqua [con] la tristezza di chi è stato abbandonato da solo sul fondo di un pozzo.

Come se innumerevoli granelli di polline fossero venuti a posarsi sopra una creatura invisibile che si nascondeva nell’aria, facendone emergere la forma segreta (175).

Era piuttosto il ricordo di un dolore intenso (175).

Proprio perché dentro di me non ho nulla, alcune persone, magari anche solo per un breve periodo hanno notato la mia presenza. Come solitari uccelli notturni che trovano sotto il tetto di una casa abbandonata un riparo sicuro dove riposare durante il giorno, una cavità quieta e buia dove riposare. [ … ] Per qualche istante riuscì ad assaporare la malinconica dolcezza [del sonno]. Anche di questo, per un attimo, quella sera si sentì grato. Nel sonno sentì il verso di un uccello notturno (176).

 … Ineffabile odore di nostalgia (178).→ I miss the comfort of being sad. Uno stormo di uccelli neri si spostava da un tetto all’altro come un’onda sul bagnasciuga.

Nelle vite di tutti noi ci sono cose troppo complesse per essere spiegate, in qualsiasi lingua (183).

Il cuore umano è come un uccello notturno (186).

La luce, come un vecchio ricordo impossibile da cancellare, riusciva a infiltrasi attraverso qualche fessura (187) [ …] era uno sfuggente miscuglio di realtà e irrealtà, qualcosa che poteva nascere solo in luogo oscuro e ignoto a tutti.

Non si voltò mai indietro. Come un dio della morte che avesse mostrato a un defunto il cammino verso il regno delle tenebre (192).

Quella sensazione di irregolarità e ruvidezza comunicava serenità. Come quando si sta seduti nella veranda a guardare le nuvole che attraversano il cielo (197).

Il compito dello sfondo era proprio mettere in risalto le decorazioni (198).

Ci sono cose al mondo che solo la figura di una donna può trasmettere (200).

Continuo a portarmi dentro l’angoscia che ho provato nel vedere la mia esistenza negata all’improvviso, nel vedermi gettato nel mare buio, solo e senza sapere il perché (206). → Il Signore degli Orfani

C’è un genere di sogni che è più forte della realtà (210).

Era una storia insopportabilmente triste. Come la pioggia fredda che quella notte aveva continuato a cadere fino all’alba (216).

 … I loro pensieri inespressi erano pesanti e solitari come un antico ghiacciaio che scava la terra per creare un lago profondo (216).

Il tempo trascorso era diventato una lunga lancia acuminata che trafiggeva il cuore. Un silenzioso dolore argentato che venne a trasformare la sua spina dorsale in un duro palo di ghiaccio (217).

A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancora più intensamente dalla ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c’è accettazione che non nasca da una perdita (218).

… Come danzatori fermi in una posa, si tenevano abbracciati abbandonandosi allo scorrere del tempo. un tempo dove si fondevano il passato e il presente, e forse anche il futuro (219). 

Non ho un’identità [ …] sono incolore. Da sempre mi sento poco più che un guscio vuoto. Come recipiente, può darsi che abbia una forma soddisfacente, ma dentro non ho nulla che si possa veramente definire un contenuto (227). […] «Supponiamo pure che tu sia un contenitore vuoto. E allora?» fece Eri « In tal caso puoi essere un contenitore magnifico» (228)

Quando comincio a riflettere su me stesso, su quello che sono mi sento perduto come un tempo, anzi peggio (228).

Devi trovare il coraggio che serve per vivere (231).

Il verde profondo dell’estate finlandese → Tomas Transtörmer; Jean Sibelius

Tsukuru si sentì invadere da una tristezza che si dileguava in lui come l’acqua di un lago. Una tristezza informe e trasparente. Una tristezza tutta sua ma allo stesso tempo lontana, irraggiungibile (231). Nel profondo del suo corpo c’era qualcosa di freddo e duro: una specie di grumo di terra gelata che per tanti anni non si era mai sciolto (231-32).

Sperò nel profondo del cuore che Eri non venisse rapita dagli gnomi cattivi  → Little People, kamikakushi.

Perdersi era una sensazione piacevole (233).

Sul magnifico pianoforte a coda, i tasti bianchi erano di un bianco assoluto, i tasti neri diun nero altrettanto assoluto (238) → D-Gray Man;: Soul Eater / In quel luogo, tutto era nelle gradazioni del bianco e del nero, non si vedevano altri colori (239).  Saper plasmare quel vasto mare, interpretare quel groviglio di note e trasformarlo in musica →zangolatura hindu del mare (239).

L’ispirazione trafiggeva il suo corpo con la forza di un fulmine in un pomeriggio estivo (239).

Ho capito che anche alle quattro del mattino il tempo scorre come sempre → After the Dark (243). Ma fra poco farà giorno. Gli uccelli cominceranno a cantare → Giraviti; Sora wo oto.

Nelle ore di punta [la stazione] si riempie di un mare di persone. Un mare che schiumeggia, s’infuria, scorre, intasando entrate e uscite → De André: Tonnara di Passanti

. …. Flussi di gente che si sposta / Un’infinità d’informazioni →Person of Interest …. Non c’è profeta, per quamto grande, che possa dividere in due quel selvaggio mare in tempesta [ …] Non esistono stazioni che mettano di buon umore (244). Tutte le persone fotografate guardavano in bassi e avevano un’espressione cupa, priva di vita, come i pesci messi in una scatola → Vaso per polpi; Miyazaki: stazione di Fondo di Palude→ Boccioni

Le considerazioni astratte non gli erano richieste. Ciò che volevano da lui era soltantoo una precisa, provata efficienza (246).

Tutte quelle persone stavano per prendere il rapido notturno e andare in qualche posto lontano, pensò Tsukuru con una certa invidia. Per lo meno avevano una meta (249) Tazaki Tsukuru non aveva una meta. Nella sua vita, questo, era una sorta di assioma. Non aveva un posto dove andare ma neanche un posto dove tornare. → FullMetal Alchemist. Non l’aveva mai avuto né l’aveva adesso. L’unico posto, per lui, era quello in cui si trovava di volta in volta (250) → Hic et Nunc /zen.

Quello che [i suoi famigliari] cercavano nel figlio e nel fratello era la vecchia immagine di lui, l’immagine che Tsukuru aveva gettato via ritenendola inutile. (251)

Conduceva una vita regolare, tranquilla e prudente: come un esule (251). Aveva l’impressione di trovarsi lì in esilio, espulso dalla propria vita.

Gli anni gli erano passati accanto come una brezza gentile (251). Senza procurargli ferite né dolori, senza dargli forti sensazioni, senza lasciargli nessun ricordo felice (251).

[Eri] aveva scelto di sua volontà quel mondo nuovo che era per lei la Finlandia (251).

A quell’epoca, aveva l’impressione che, se sifosse fermato a guardare nel profondo di se stesso, il suo cuore avrebbe smesso di battere. Sarebbe bastato che si concentrasse intensamente su un solo punto per infliggere al suo cuore una ferita mortale, come si dà fuoco alla carta concentrandovi sopra i raggi del sole con una lente. Era quello a cui aspirava. Ma contrariamente alla sua volontà anche dopo molti mesi il suo cuore non si era fermato. Il cuore umano non si ferma con tanta facilità (254-255).

Il paradiso prima o poi lo si perde (255).

Probabilmente i nervi di Shiro non avevano retto all’attesa opprimente di quella fine annunciata (255).

Non era in grado di sopportare delle relazioni umane non tanto strette da richiedere il continuo controllo delle emozioni (256).

No, pensò, non sono né tranquillo né cool e non seguo il mio ritmo. È soltanto una questione di equilibrio. Sono semplicemente abituato a distribuire il peso che mi porto addosso (256).

I suoi seni fecondi avevano la consistenza della vita che continua (257).

Mentre inseguiva quelle immagini, di nuovo provò il dolore che sempre i ricordi gli causavano (257).

Un silenzio profondo, denso di implicazioni (258).

[Una serie di figure] nasceva dal margine buio della coscienza. Attraversavano senza far rumore la luce della consapevolezza, e venivano inghiottite all’estremità opposta, come un microorganismo dai contorni confusi che taglia in diagonale il campo visivo di un microscopio (258).

In certi casi è necessario sacrificare qualcuno. E qualcuno deve assumersi il ruolo della vittima. Inoltre il corpo umano è fragile, vulnerabile, e quando viene ferito, sanguina. [ …] Non c’è molta differenza rea morire realmente o metaforicamente (259).

Se Sara avesse scelto lui, Tsukuru le avrebbe chiesto seduta stante di sposarlo. In modo da non smarrirsi in fondo al bosco, da non venir rapito dagli gnomi cattivi → Kafka sulla Spiaggia; Full Metal Alchemist: Principio dello Scambio Equivalente (260).

L’ultimo barlume della sua coscienza venne inghiottito in fondo alla notte, perse velocità diventando sempre più piccolo finché sparì, come l’ultimo treno che si allontana sui binari. Rimase soltanto il suono del vento tra le betulle del bosco (260: excipit).   
 
Isaak Il'ic Levitan