martedì 29 luglio 2014

TAZAKI TSUKURU quotes





Natalia Gonchalova
 
Pensare liberamente è un po’ come uscire dai limiti del proprio corpo

L’originalità non è altro che un’abile imitazione

Ogni cosa è necessariamente contenuta entro certi limiti e l’atteggiamento degli uomini verso i confini è ciò che definisce la loro libertà

Il suo sviluppo interiore era stato bloccato da qualcosa, qualcosa che lo infettava

Il talento si rivela e funziona solo se sostenuto da un’enorme concentrazione fisica e mentale. Ma basta che da qualche parte nel cervello una vite si allenti o che qualcosa nel corpo si spezzi e la concentrazione svanisce come brina al sole (p. 63)

Le persone, tutte quante, hanno un colore (p. 65)

Ebbe l’impressione che una dimensione temporale ormai superata venisse a riempire lo spazio intorno a lui (81)

Poi, come quando si scrive un piccolo appunto ai margini di una pagina,  aggiunse: … (98)

Eppure veder sbiadire e poi dissolversi poco per volta qualcosa che un tempo aveva avuto un significato tanto grande, era devastante (126)

La funzione della stazione cambia insieme alla società (131-32)

La maggior parte della gente a questo mondo non ha difficoltà a seguire gli ordini. Al contrario; è felice di venir comandata (135) → Sweet Dreams

Penso che la verità sia come una città sepolta. Ci sono casi in cui con il passare del tempo si accumula sempre più sabbia e altri in cui la sabbia viene soffiata via e tutto torna alla luce (138)

Il talento è come un recipiente: per quanto uno si sforzi  non riuscirà a cambiarne le dimensioni (140)

Non avevamo il coraggio di staccasi dal posto dove eravamo cresciuti e di separarci dai nostri amici del cuore con cui andavamo tanto d’accordo. Non eravamo in grado di lasciarci alle spalle quel nido accogliente (141)

Ebbe come la sensazione che l’aria nella stanza cambiasse natura. Come se l’appartamento avesse una volontà propria. In grado di alterare la sua percezione del vero e del falso (164).

La gente non rimaneva ferma, la gente cambiava ogni giorno (167).

Che la forza sia con te! Vedrai che non sarai da meno dei salmoni (171).

Aveva la sensazione che del liquido si diffondesse nel suo petto come una calda emorragia (173) [ …] e per un po’ si abbandonò a quella dimensione di dolore come quando si galleggia facendo il morto in acqua [con] la tristezza di chi è stato abbandonato da solo sul fondo di un pozzo.

Come se innumerevoli granelli di polline fossero venuti a posarsi sopra una creatura invisibile che si nascondeva nell’aria, facendone emergere la forma segreta (175).

Era piuttosto il ricordo di un dolore intenso (175).

Proprio perché dentro di me non ho nulla, alcune persone, magari anche solo per un breve periodo hanno notato la mia presenza. Come solitari uccelli notturni che trovano sotto il tetto di una casa abbandonata un riparo sicuro dove riposare durante il giorno, una cavità quieta e buia dove riposare. [ … ] Per qualche istante riuscì ad assaporare la malinconica dolcezza [del sonno]. Anche di questo, per un attimo, quella sera si sentì grato. Nel sonno sentì il verso di un uccello notturno (176).

 … Ineffabile odore di nostalgia (178).→ I miss the comfort of being sad. Uno stormo di uccelli neri si spostava da un tetto all’altro come un’onda sul bagnasciuga.

Nelle vite di tutti noi ci sono cose troppo complesse per essere spiegate, in qualsiasi lingua (183).

Il cuore umano è come un uccello notturno (186).

La luce, come un vecchio ricordo impossibile da cancellare, riusciva a infiltrasi attraverso qualche fessura (187) [ …] era uno sfuggente miscuglio di realtà e irrealtà, qualcosa che poteva nascere solo in luogo oscuro e ignoto a tutti.

Non si voltò mai indietro. Come un dio della morte che avesse mostrato a un defunto il cammino verso il regno delle tenebre (192).

Quella sensazione di irregolarità e ruvidezza comunicava serenità. Come quando si sta seduti nella veranda a guardare le nuvole che attraversano il cielo (197).

Il compito dello sfondo era proprio mettere in risalto le decorazioni (198).

Ci sono cose al mondo che solo la figura di una donna può trasmettere (200).

Continuo a portarmi dentro l’angoscia che ho provato nel vedere la mia esistenza negata all’improvviso, nel vedermi gettato nel mare buio, solo e senza sapere il perché (206). → Il Signore degli Orfani

C’è un genere di sogni che è più forte della realtà (210).

Era una storia insopportabilmente triste. Come la pioggia fredda che quella notte aveva continuato a cadere fino all’alba (216).

 … I loro pensieri inespressi erano pesanti e solitari come un antico ghiacciaio che scava la terra per creare un lago profondo (216).

Il tempo trascorso era diventato una lunga lancia acuminata che trafiggeva il cuore. Un silenzioso dolore argentato che venne a trasformare la sua spina dorsale in un duro palo di ghiaccio (217).

A unire il cuore delle persone non è soltanto la sintonia dei sentimenti. I cuori delle persone vengono uniti ancora più intensamente dalla ferite. Sofferenza con sofferenza. Fragilità con fragilità. Non c’è pace esente da grida di dolore, non c’è perdono senza sangue sparso sul terreno, non c’è accettazione che non nasca da una perdita (218).

… Come danzatori fermi in una posa, si tenevano abbracciati abbandonandosi allo scorrere del tempo. un tempo dove si fondevano il passato e il presente, e forse anche il futuro (219). 

Non ho un’identità [ …] sono incolore. Da sempre mi sento poco più che un guscio vuoto. Come recipiente, può darsi che abbia una forma soddisfacente, ma dentro non ho nulla che si possa veramente definire un contenuto (227). […] «Supponiamo pure che tu sia un contenitore vuoto. E allora?» fece Eri « In tal caso puoi essere un contenitore magnifico» (228)

Quando comincio a riflettere su me stesso, su quello che sono mi sento perduto come un tempo, anzi peggio (228).

Devi trovare il coraggio che serve per vivere (231).

Il verde profondo dell’estate finlandese → Tomas Transtörmer; Jean Sibelius

Tsukuru si sentì invadere da una tristezza che si dileguava in lui come l’acqua di un lago. Una tristezza informe e trasparente. Una tristezza tutta sua ma allo stesso tempo lontana, irraggiungibile (231). Nel profondo del suo corpo c’era qualcosa di freddo e duro: una specie di grumo di terra gelata che per tanti anni non si era mai sciolto (231-32).

Sperò nel profondo del cuore che Eri non venisse rapita dagli gnomi cattivi  → Little People, kamikakushi.

Perdersi era una sensazione piacevole (233).

Sul magnifico pianoforte a coda, i tasti bianchi erano di un bianco assoluto, i tasti neri diun nero altrettanto assoluto (238) → D-Gray Man;: Soul Eater / In quel luogo, tutto era nelle gradazioni del bianco e del nero, non si vedevano altri colori (239).  Saper plasmare quel vasto mare, interpretare quel groviglio di note e trasformarlo in musica →zangolatura hindu del mare (239).

L’ispirazione trafiggeva il suo corpo con la forza di un fulmine in un pomeriggio estivo (239).

Ho capito che anche alle quattro del mattino il tempo scorre come sempre → After the Dark (243). Ma fra poco farà giorno. Gli uccelli cominceranno a cantare → Giraviti; Sora wo oto.

Nelle ore di punta [la stazione] si riempie di un mare di persone. Un mare che schiumeggia, s’infuria, scorre, intasando entrate e uscite → De André: Tonnara di Passanti

. …. Flussi di gente che si sposta / Un’infinità d’informazioni →Person of Interest …. Non c’è profeta, per quamto grande, che possa dividere in due quel selvaggio mare in tempesta [ …] Non esistono stazioni che mettano di buon umore (244). Tutte le persone fotografate guardavano in bassi e avevano un’espressione cupa, priva di vita, come i pesci messi in una scatola → Vaso per polpi; Miyazaki: stazione di Fondo di Palude→ Boccioni

Le considerazioni astratte non gli erano richieste. Ciò che volevano da lui era soltantoo una precisa, provata efficienza (246).

Tutte quelle persone stavano per prendere il rapido notturno e andare in qualche posto lontano, pensò Tsukuru con una certa invidia. Per lo meno avevano una meta (249) Tazaki Tsukuru non aveva una meta. Nella sua vita, questo, era una sorta di assioma. Non aveva un posto dove andare ma neanche un posto dove tornare. → FullMetal Alchemist. Non l’aveva mai avuto né l’aveva adesso. L’unico posto, per lui, era quello in cui si trovava di volta in volta (250) → Hic et Nunc /zen.

Quello che [i suoi famigliari] cercavano nel figlio e nel fratello era la vecchia immagine di lui, l’immagine che Tsukuru aveva gettato via ritenendola inutile. (251)

Conduceva una vita regolare, tranquilla e prudente: come un esule (251). Aveva l’impressione di trovarsi lì in esilio, espulso dalla propria vita.

Gli anni gli erano passati accanto come una brezza gentile (251). Senza procurargli ferite né dolori, senza dargli forti sensazioni, senza lasciargli nessun ricordo felice (251).

[Eri] aveva scelto di sua volontà quel mondo nuovo che era per lei la Finlandia (251).

A quell’epoca, aveva l’impressione che, se sifosse fermato a guardare nel profondo di se stesso, il suo cuore avrebbe smesso di battere. Sarebbe bastato che si concentrasse intensamente su un solo punto per infliggere al suo cuore una ferita mortale, come si dà fuoco alla carta concentrandovi sopra i raggi del sole con una lente. Era quello a cui aspirava. Ma contrariamente alla sua volontà anche dopo molti mesi il suo cuore non si era fermato. Il cuore umano non si ferma con tanta facilità (254-255).

Il paradiso prima o poi lo si perde (255).

Probabilmente i nervi di Shiro non avevano retto all’attesa opprimente di quella fine annunciata (255).

Non era in grado di sopportare delle relazioni umane non tanto strette da richiedere il continuo controllo delle emozioni (256).

No, pensò, non sono né tranquillo né cool e non seguo il mio ritmo. È soltanto una questione di equilibrio. Sono semplicemente abituato a distribuire il peso che mi porto addosso (256).

I suoi seni fecondi avevano la consistenza della vita che continua (257).

Mentre inseguiva quelle immagini, di nuovo provò il dolore che sempre i ricordi gli causavano (257).

Un silenzio profondo, denso di implicazioni (258).

[Una serie di figure] nasceva dal margine buio della coscienza. Attraversavano senza far rumore la luce della consapevolezza, e venivano inghiottite all’estremità opposta, come un microorganismo dai contorni confusi che taglia in diagonale il campo visivo di un microscopio (258).

In certi casi è necessario sacrificare qualcuno. E qualcuno deve assumersi il ruolo della vittima. Inoltre il corpo umano è fragile, vulnerabile, e quando viene ferito, sanguina. [ …] Non c’è molta differenza rea morire realmente o metaforicamente (259).

Se Sara avesse scelto lui, Tsukuru le avrebbe chiesto seduta stante di sposarlo. In modo da non smarrirsi in fondo al bosco, da non venir rapito dagli gnomi cattivi → Kafka sulla Spiaggia; Full Metal Alchemist: Principio dello Scambio Equivalente (260).

L’ultimo barlume della sua coscienza venne inghiottito in fondo alla notte, perse velocità diventando sempre più piccolo finché sparì, come l’ultimo treno che si allontana sui binari. Rimase soltanto il suono del vento tra le betulle del bosco (260: excipit).   
 
Isaak Il'ic Levitan
 

 

domenica 27 luglio 2014

L’INCOLORE TAZAKI TSUKURU E I SUOI ANNI DI PELLEGRINAGGIO


Haruki Murakami Einaudi, 260 pp., 20€


 

A ognuno di noi viene assegnato un ruolo; ognuno di noi ha un colore ma anche lo sfondo è importante per far risaltare le tonalità., quanto la luce bianca in un quadro di Edward Hopper. Per un progetto scolastico, cinque liceali formano un gruppo che funziona con la logica strutturale dei classici anime nipponici con gli eroi che incarnano determinate caratteristiche. Tsukuru è l’unico nel cui cognome non ci sia un ideogramma che rimanda alla sfera cromatica ma, tenendo fede al significato proprio nome, Tsukuru ha il compito di “costruire” cose concrete e pur sembrando marginale funge da nodo di collegamento all’interno di un organismo armonioso. Quando viene allontanato inspiegabilmente, la coesione si perde e lui stesso si ritrova a un passo dal baratro, a stretto contato con la negatività dell’Io. Secondo l’analisi dei commentatori, siamo di fronte a una nuova evoluzione di Haruki Murakami che apparentemente si discosta dall’archetipo individuo “cool” per interessarsi alle dinamiche dei rapporti sociali. Il focus è soggettivo ma il punto di vista sull’amore e sull’inquietudine è di qualcuno che s’immerge nella società e se ne lascia influenzare. Questo libro è un tassello che si aggiunge al nutrito corpus dell’autore perché in realtà anche i personaggi che si ponevano come osservatori indifferenti sono parte di un ordito nel quale le figure maschili sono l’incarnazione del tipico “Uomo senza Qualità” che si confonde tra la folla, mentre le donne sono creature trascendenti e delicate, impalpabili e al contempo a tutto tondo. E forse non è un caso che la persona che salva Toru di “Norwegian Wood” dall’apatia sia una ragazza di nome Midori (Verde); e lo stesso vale per Aomame (Pisello Verde), metà femminile di “1Q84”: due gradazioni di verde. Per ciò, se volessimo spingerci ancora più in là nel gioco delle interpretazioni, potremmo forzare un po’ la mano e tirare in ballo l’ipotesi relativista di Sapir e Whorf secondo la quale la percezione del mondo varia secondo lo schema linguistico adottato e i due studiosi sottolineavano proprio i fraintendimenti di traduzione dovuti alle difformità nell’assegnare un nome ai punti della scala cromatica: cioè, in giapponese alcune tonalità che per noi ricadono nella sfera del “blu” rientrano ancora nel “verde” e quindi “midori” è decisamente “verde” mentre “ao” indica anche il blu e l’azzurro. Cosa può significare questo discorso se applicato all’analisi dei personaggi di Murakami? In questo nuovo romanzo i due ragazzi “colorati” del gruppo sono Aka (“rosso”) e Ao (che qui è giustamente reso con “blu”): nonostante il loro cognome contenga una tinta, entrambi sono entrati in un ingranaggio che rispecchia lo Spirito del Tempo. Il primo si è improvvisato guru di una start-up motivazionale; il secondo è diventato venditore di un lussuoso concessionario. Come le stazioni costruite da Tsukuru cambiano la loro funzione con l’evolversi della società e mostrano i bisogni delle masse, anche gli status e le istituzioni che li rappresentano si modificano e nel libro tutti i personaggi hanno seguito un percorso di vita totalmente inaspettato, tranne il protagonista che rimane fedele alla propria vocazione giovanile.



 

 In “Tazaki Tsukuru” gli stilemi consueti dell’autore sono ripresi e adattati a un diverso parametro: l’analisi dei rapporti d’amicizia e delle tensioni fra i sessi è carica di tutte le possibili sfumature. Le due ragazze del team sono Shiro (“Bianco”) e Kuro (“Nero”) e sin dall’inizio sono concepite come un organismo unico – esattamente come in “1Q84” daughter e mother erano un’unità di senso –  ma, se gli incontri a tre rievocano “Il Flipper del 1973” (uno dei primi romanzi di Murakami, inedito in Italia), è forse la prima volta che si accenna all’attrazione omofila, e lo si fa con la delicata naturalezza che ricorda “Una Promessa d’Estate” di Chiya Fujino: infatti la sintesi corporea delle due donne è un ragazzo, Haida ( dove “hai” si scrive con l’ideogramma di “grigio”). Come sempre avviene in Murakami, la riflessione va oltre l’incontro carnale: a livello spirituale, qui l’equilibrio tra i due non-colori si esprime sulla tastiera del pianoforte, attraverso il continuo riferimento alla musica come mezzo per creare un mondo nuovo, alla stregua della zangolatura degli oceani nella religione hindu. Si tratta però di un meccanismo fragilissimo, costantemente vicino al baratro della follia, in un modo che, anche per le suggestioni visive, si avvicina “D-Gray Man” e “Soul Eater”, due manga nei quali il lato oscuro dei personaggi si manifesta proprio in una melodia suonata dai loro doppi.  “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi Anni di Pellegrinaggio”  è un romanzo meno ambizioso e complesso sul piano immaginifico, ma forse proprio per questo è denso di contenuti e ricco suggestioni. Come di consueto, il titolo, che riprende quello di un brano di Liszt, è una dichiarazione descrittiva che si rifà alla tradizione della narrativa orale e sembra aggiungere una variante al personale realismo magico di Murakami – per quanto questa etichetta vada sempre applicata con precauzione, persino quando si parla di letteratura  latino-americana. Nell’“Incolore Tazaki Tsukuru” si sviluppa una profonda analisi psicologica che trasforma l’astrattismo in un contenitore tangibile, con tutte le fragilità dell’essere umano. Anche il tema delle dimensioni parallele qui assume tratti di verosimiglianza che però – come già in “Kafka sulla spiaggia” – confinano con la psicanalisi mescolando il presente al passato, lo Spazio e il Tempo. * L’individuo si apre all’esterno, modificandosi. Le immagini che altrove riprendevano velatamente la poetica di Tomas Transtörmer si manifestano in uno spostamento fisico che confina con la saggistica di “Underground”.  Invece di chiudersi nel proprio universo interiore, Tazaki si rivolge all’esterno e infonde le sue emozioni nel paesaggio delle foreste finlandesi, scenari bellissimi, pacifici e incontaminati dove però c’è il rischio di perdersi (proprio come nel bosco di “Kafka sulla Spiaggia”) e di finire “kamikakushi”, “rapiti dagli dei”.  Nella struttura narrativa che inanella storie diverse, incorporando nella trama principale anche alcune digressioni, si ritrova uno stile classico che associa i viaggi sabbatici dei personaggi a un processo di scoperta di sé e del mondo che ha lo stesso principio di analisi concreta e interiore dei vagabondaggi dei veduti dell'ukiyo-e. A questa visione da vicino, si somma la metafora del treno che stavolta viene resa palese e sviluppata quasi si trattasse di una trasposizione sulla carta geografica delle tappe del Galaxy Express 999 (a sua volta libera interpretazione di “Una Notte sul Treno della Via Lattea”, classico per bambini di Kenji Miyazawa). In “Tazaki Tsukuru” resiste l’aspetto fantastico della ricerca di senso ma l’accento è calcato sul piano reale.   Se in“L’Arte di Correre” il podismo era la sublimazione della disciplina morale, ora il nuoto è la metafora della crescita mentale dei personaggi che attraversano un “mare buio” per poi emergerne o inabissarsi.
 





 Murakami si limita a lanciare delle domande, non fornisce tutte le risposte e anzi lascia molti punti oscuri nello svolgimento della vicenda seguendo l’idea che il compito di un buono scrittore non è quello di imporre certezze ma piuttosto quello d’instillare il dubbio.

 

sabato 12 luglio 2014

BANLIEUES: UN CÔTÉ LETTERARIO


Recentemente, cercando di orientarmi nella galassia di ROMAIN GARY (e scoprendo solo al pluralità dell’eteronimia legata all’occasione, o meglio “all’azzardo” che ha generato Émile Ajar, autore immaginario di “La vita davanti a sé”), ho letto un paio di libri ambientati nelle banlieues parigine. Fermo restando che ogni comune limitrofo alla grande area urbana si configura come un universo a sé, ci sono comunque alcuni elementi costanti che hanno favorito la diffusione dei disordini, alla fine del 2005.
 
All’epoca erano stata la morte di due ragazzi (forse inseguiti da due agenti di pattuglia)  e poi il linguaggio di Sarkozy e dei suoi ministri a innescare le reazioni sempre più violente di una popolazione esasperata da decenni di emarginazione. Le rivolte erano scoppiate come tanti incendi, arrossando la topografia della capitale e della Francia intera. Parlando di “ripulire i quartieri difficili usando gli idranti della polizia” , il presidente cancellava anni di tentativi sulla strada dell’integrazione e del dialogo riaffermando il mito di una pretesa uniformità francese e rafforzava i lati negativi di un modello fortemente assimilazioni sta, che non ha mai riconosciuto particolari diritti alle minoranze. La naturalizzazione – a ben guardare – è un concetto curioso, come se la mancanza di un riconoscimento della pubblica autorità sottraesse essenza ontologica all’Uomo; non è possibile tracciare un giudizio univoco senza cadere nello stereotipo. Per i ragazzi nati e cresciuti respirando queste realtà, la formazione di un’identità definita è un gradino difficile da affrontare perché sono messi di fronte a una divisione culturale che troppo spesso diventa una vera spaccatura, per tradursi quasi inevitabilmente in situazioni di degrado e di povertà relativa. Dal punto di vista socio-economico, quindi, bisognerebbe interrogarsi sull’idea insidiosa di “discriminazione positiva” , che prevedrebbe l’approvazione di quote che favoriscano le categorie sociali non-dominanti.

 


 
Sul piano letterario, ponendosi a livelli molto differenti tra loro, i romanzi che ho pescato nel mare magnum della letteratura su questo tema gettano u n po’ di luce sulla quotidianità di questi suburbi, separati dai villini dei “francesi veri” da una virtuale frontiera  – quel Boulvard Péripherique che si apre come un doppio fossato invalicabile.



FAÏZA GUÈNE, giovane scrittrice di origini algerine, ha pubblicato “Kif kif domani” per raccontare la vita di una normale adolescente nella zona di Bagnolet, una cittadina a mezz’ora da Parigi. Con uno stile semplice, piano e vivace che confina col genere “young adults” da spiaggia e ricorda il boom dei telefilm francesi degli anni Novanta, l’autrice descrive un contesto in cui non resta quasi nulla della patina nostalgica tipica della narrativa d’oltralpe.”Kif-kif “è un termine gergale che significa all’incirca  “è lo stesso” e l’universo quotidiano di Doria è fatto di assistenti sociali, psicologhe, vicine pettegole, tutti sembrano congiurare contro la ragazza e sua madre che, abbandonate dal padre-marito, stentano a trovare un posto nella geografia sociale della nazione. Tar parentesi,  la sottotrama che riguarda gli uomini di questa storia è interessante perché tocca la necessità di ritrovare le radici  ritornando a una patria spesso dimenticata,  mai conosciuta o mitizzata. Dunque questo padre che parte per il Marocco per sposare una ragazza del luogo ha qualcosa in comune con il marito di Susan in “I ragazzi Burgess” di ELIZABETH STROUT che lascia tutto nel Maine per andarsene in Scandinavia. Contesti diversissimi  che delineano però nello stesso modo il bisogno archetipico di esplorazione che coincide con la scoperta di sé. Persino il sogno di Madame Rosa nel libro di Gary ha i tratti della fondazione di un’utopia immaginaria. “L’angolino ebreo” creato in cantina e il falso viaggio in Israele sono l’ultimo rifugio di una donna malata ma, mentre la donna resta come ancora di salvezza e pilastro della comunità, i maschi si spostano rincorrendo le illusioni nello spazio, diventano “fanatici dell’altrove”, “ossessionati dal desiderio di andare a portare la propria parola e la propria storia” (N’Sondé). I migranti sono novelli Ulisse alla corte di Alcinoo. 



“Il morso del leopardo” di WILFRIED N’SONDÈ usa un registro e tinte scure e frenetiche per rendere lo stesso tipo di disagio: il protagonista si sente dilaniato, incapace di far convivere le due metà del suo background. Per il piccolo Momò di Gary, la formazione affidata alla voce di un vecchio saggio portatore della tradizione si scontra con il presente – e forse non è un caso che Gary dia il nome Émile all’autore fittizio di “La vita davanti a sé”, richiamandosi al classico della pedagogia voltairiana. Mentre nel racconto di Mohammed, allevato in una casa-asilo per i bambini di strada, permane un’ aura vintage che rievoca una foto anticata, N’Sondè, scrittore di origini congolesi, incastona una lingua poetica e dolorosa in un mondo estraneo, segnato dalla violenza di un degrado non voluto ma imposto. Che da stigma collettivo diventa trauma privato. La diffidenza che si respira “fuori” finisce per contaminare anche le relazioni personali: l’amicizia con Drissa, sempre più perso nelle sue fantasie e nel suo mutismo e l’amore con Mireille. Il rapporto tra con la ragazza bionda e bianca – “quasi trasparente” – è intellettuale ma prima di tutto sensoriale e rimanda a tutti i livelli ai problemi delle “coppie miste”, con l’inevitabile altalena d’incontri e di scontri.


 
 
Il primo riferimento potrebbe essere “Bianco e nero”, il divertente film con FABIO VOLO, non si può annunciare uno conflitto tra culture sul piano antropologico quanto piuttosto una scissione prima di tutto interiore che si riassumeva benissimo già in uno dei quadri della pittrice messicana Frida Kahlo. In “Le due Frida” un’arteria collega il cuore di una Frida occidentalizzata a quello di una indigena.  


LA VITA DAVANTI A SÉ Romain Gary


Neri Pozza, 214 pp., 11.50€

 

Romain Gary (al secolo Romain Kucew) è l’unico autore ad aver vinto due volte il prestigioso Premio Goncuort, scrivendo sotto pseudonimo o meglio, cambiando quasi identità e diventando Émile Ajar: con questa firma pubblicava “La vita davanti a sé”, tagliente e tenera ironia sulla vita nella banlieue parigina, luogo che non è già più francese pur apparendo nella topografia della Ville Lumiére. Nel 1970 del romanzo, le bruciature della sconfitta coloniale cominciava a tracciare in patria una linea di demarcazione tra i quartieri popolari “difficili” e i villini degli autoctoni. Quello di Momò, arabo e mussulmano cresciuto da un ex prostituta ebrea in una casa-rifugio, è un mondo al margine in cui non esiste la scansione convenzionale del tempo e le regole sono dettate dal cuore e da tradizioni lontane, in una mescolanza di voci e di personaggi surreali. Il primo livello d’approccio a questo particolare universo è il linguaggio, modificato dall’autore con una ricercata ingenuità infantile che vuole far riflettere sul falso mito dell’omogeneità (quel mito che il presidente Sarkozy aveva cercato di rilanciare e che gli antropologi della decolonizzazione hanno sempre messo in discussione). C’è poi il piano puramente descrittivo, che rimanda allo stesso contesto sociale delineato da N’Sondé in “Il morso del Leopardo” o nel film “Quasi Amici” di  Nakache e Toledano. Infine, c’è la trama: una storia d’affetto che trascende qualsiasi questione di genere o appartenenza culturale e che unisce il protagonista agli altri inquilini del palazzo e a Madame Rosa, la donna che si è presa cura di lui. Il degrado resta sullo sfondo, come una nota soffusa, meno incisiva che nei libri di J. T. Leroy (che ha in comune con Gary il gioco dei depistaggi onomastici) e sicuramente non dominante quanto in “Educazione Siberiana” di Lilin. S’intuisce una violenza che non è però fondamentale nel processo di crescita di Mohammed, forse a causa di uno stile che è peculiare della narrativa d’oltralpe, in cui l’atmosfera resta nostalgica come una foto di Robert Doisneau. Ogni pagina è toccata da un’amarcord agrodolce, che arriva al culmine con il viaggio immaginario di Madame Rosa in Israele, terra sognata più che reale.

Un racconto che entra dentro senza invasioni, consigliato soprattutto ai ragazzi che non hanno superato i trent’anni, ma che può diventare una pietra miliare anche per le persone più “âgées”.
 
Anche sul sito delle biblioteche di Genova:


http://www.bibliotechedigenova.it/content/la-vita-davanti-s%C3%A9

martedì 1 luglio 2014

DI ME ORMAI NEANCHE TI RICORDI Luiz Ruffato



La Nuova Frontiera, 136 pp., 14€


Per il terzo romanzo di Luiz Ruffato, il traduttore e saggista Gian Luigi De Rosa ha curato un ottimo lavoro esegetico, riproducendo la “quasi oralità” tipica dei contadini inurbati nella megalopoli di San Paolo alla ricerca di un modo per “migliorare le proprie condizioni”.La verosimiglianza del romanzo epistolare ci apre le porte alla vita quotidiana di una famiglia modesta dello stato di Minas Gerais e alla complessità del Brasile degli anni Settanta, che risponde al dramma della dittatura militare con il calcio – “Tropicália ou Panis et Circenses” ammoniva Caetano Veloso –La politica è però solo un tassello della vicenda di José Célio, arrivato nella grande città, dirottato nell’anonimato delle fabbriche. Anche se la consapevolezza sociale diventa man mano più salda con le lotte sindacali e le rivendicazioni operaie, lo snodo centrale della narrazione resta il senso di straniamento di chi si sente dovunque straniero, incapace di adattarsi del tutto al nuovo contesto ma ormai lontano da un luogo d’origine che si trasforma in un’utopia.  La descrizione a tratti malinconica di un panorama urbano freddo si sostituisce lentamente a quell’ecologia personificata introdotta dal narratore nella premessa e, almeno nelle prime lettere, si mescola con lo stupore per le dimensioni elefantiache delle strade e delle folle per poi trovare un contrappunto doloroso nella miseria evidente delle campagne inaridite del sertão. Si sente un eco del verismo dei film di Nelson Pereira dos Santos ma il contesto situazionale colloca la finzione in un Paese che, nonostante la crescita economica, i Mondiali e le Olimpiadi, resta ancora molto diseguale. 


ULTIMO MINUTO Marcelo Backes




Del Vecchio Editore, 262 pp., 14.50€


In Italia è ormai tramontata la frenesia per il Mondiale, ma sarebbe bello sapere cosa ne penserebbe l’allenatore detenuto João / Yannicnick  di giocatori che si presentano in campo come starlet televisive. Nel racconto, il calcio è una metafora della vita stessa, summa antropologica di una società in divenire. La partita come grande rappresentazione del conflitto, della tensione che percorre le logiche di sviluppo di una comun unità, esattamente come ha spiegato il recente saggio Bruno Barba. E anche il religioso entrato in carcere per fare proseliti diventa un po’ un etnologo munito di registratore. Riascoltando una ricostruzione involuta, ricca di digressioni e citazioni il giovane perde le sue granitiche certezze e comincia a interrogarsi su se stesso mentre trascrive quasi fedelmente le parole di un uomo che ha vissuto mille diverse esperienze e che ha il dono della narrazione proprio come l’aveva il naufrago Luis Alejandro Velasco intervistato da García Márquez dopo dieci giorni alla deriva. I fatti si delineano incontro dopo incontro, passando da un piano temporale all’altro, richiamando le persone vicine al protagonista accanto a personaggi dei grandi romanzi, figure storiche accanto a nomi eccellenti dello sport. All’inizio lo spaesamento del giovane João di fronte alla metropoli lo stesso del ragazzo di “Di me ormai neanche ti ricordi” (appena pubblicato da La Nuova Frontiera) ma, mentre Ruffato affida l’oralità popolare alla forma epistolare, nelle pagine di Backes la parlata delle missioni del Rio Grande do Sul si mescola a una rete di rimandi colti, diventando una sfida per i traduttori.