lunedì 23 settembre 2013

NERUDA: omaggio per il 40° anniversario della morte di RICARDO ELIÉCER NEFTALÍ REYES BASOALTO


L'uva e il vento è uno dei tanti "figli di carta" del poeta Pablo Neruda. Un uomo inquieto, nel quale la scrittura coincide con un'opera di conquista poetica del mondo, in un viaggio fisico e metafisico tra luoghi diversi. Fra questi l'Italia occupa un posto speciale grazie alla parentesi caprese resa celebre anche dal libro di Skármeta (e dal film con Massimo Troisi). Questa raccolta, scritta tra il 1951 e il '53, è frutto delle molteplici esperienze vissute dall'ambasciatore, dalla persona, dall'autore; è un libro nato dalle luci e dalle ombre di una terra ricca, aspra e dolce.

UN GIORNO

A te, amore, questo giorno
lo consacro a te.
Nacque azzurro, con un'ala
bianca in mezzo al cielo.

Giunse la luce
all'immobilità dei cipressi.
Esseri minuscoli
sbucarono sull'orlo di una foglia
o sulla chiazza del sole su una pietra.

E il giorno rimarrà azzurro
finché entrerà la notte come un fiume
e farà tremare l'ombra con le sue acque azzurre.

A te, amore, questo giorno.

Non appena, da lontano, dal sogno,
l'ho presagito e non appena
mi ha sfiorato il suo tessuto
di rete incalcolabile
ho pensato: è per lei.

Fu un battito d'argento,
fu un pesce azzurro che volava sul mare,
fu un contatto di sabbie abbaglianti,
fu il volo d'una freccia
che tra il cielo e la terra
attraversò il mio sangue
e come un raggio accolsi nel mio corpo
lo straripante splendore del giorno.

È per te, amore mio.

Io dissi: è per lei.

Questa veste è sua.

Il lampo azzurro che si fermò
sull'acqua e sulla terra
lo consacro a te.

A te, amore, questo giorno.

Come una coppa elettrica
o una corolla d'acqua tremante,
alzalo nelle tue mani,
bevilo con gli occhi e con la bocca,
riversalo nelle tue vene perché arda
la stessa luce nel tuo sangue e nel mio

mercoledì 18 settembre 2013

DUE IN UNO Sayed Kashua


 
 
“L'uomo si dimostra intelligente solo quando riesce a disfarsi di ogni identità”, non ci si può basare solo sui nomi, che non sempre consentono di distinguere la comunità d'appartenenza. Il pensiero illuminato prescinde dalle tradizioni, specie in una società complessa come quella d'Israele. È un territorio difficile, dilaniato e conteso, dove – più che in ogni altro luogo al mondo – si materializza la semplicistica teoria dello “Scontro di civiltà” profetizzato da Huntington. Due mondi che cercano di trovare degli spazi di dialogo o almeno di convivenza, due realtà apparentemente separate, ma avvicinate da una moltitudine di sfumature che rendono labili i confini. Quando un avvocato scopre un biglietto scritto dalla moglie a un altro uomo, tutte le sue convinzioni progressiste si sgretolano nell'ossessione che lo riporta alle radici campagnole, di cui si vergogna davanti agli amici. Parallelamente, un giovane assistente sociale arabo entra nell'universo di Yonatan, il ragazzo ebreo di cui si prende cura dopo “l’incidente” che l’ha costretto a letto – inespressivo ma forse consapevole. Sempre più affascinato dalle possibilità di un ambiente distante, occidentalizzato, artistico comincia a sfogliare i libri del suo paziente, ad ascoltare i dischi, a osservare gli oggetti della villetta in cui alloggia. Inizia così a leggere ciò che lo circonda attraverso la macchina fotografica del giovane, rivelando i segreti delle persone che ritrae e contemporaneamente confondendo ulteriormente la propria auto-rappresentazione, immedesimandosi totalmente nell'Altro, modificando il proprio percorso fino a scomparire, sentendosi uno straniero ai suoi stessi occhi. In “Due in uno”, i personaggi vivono le loro lotte interiori come pallidi echi del dramma nazionale, come se questo fosse lontano o estraneo agli individui, e contassero solo le piccole cose quotidiane dalle quali ogni volta riparte la costruzione perfetta dei tasselli narrativi. Sayed Kashua racconta il bisogno d'integrazione con una forza espressiva corale, a volte ironica, differente dallo stile asciutto, tragico e quasi teatrale di “E fu mattina”: in questa nuova prova d’autore si apre su un palcoscenico più ampio che, frazionato al suo interno, vorrebbe guardare al panorama globale.  
 
illustrazione: NAJI AL-ALI

 

mercoledì 11 settembre 2013

I GIORNI DELL'ARCOBALENO Antonio Skármeta / Pablo Larraín


Einaudi, 170 pp., 19€

 
Nel 1988, dopo quindici anni di feroce repressione, il Cile sembra un Paese completamente assuefatto al terrore e alla violenza: i cittadini sono come “i prigionieri del mito della caverna di Platone” che potevano guardare solo le ombre delle cose reali. Anche in una situazione così disperata, la musica e la letteratura conservano il loro potere universale e hanno ancora la capacità di porre degli interrogativi e di risvegliare l’allegria assopito nel cuore della gente. Quando l’arroganza della dittatura indice un referendum pro o contro Pinochet, pochi pensano che la campagna per il No – trasmessa solo per quindici minuti – abbia qualche possibilità di successo: sono troppi gli indecisi, quelli che hanno paura delle conseguenze del voto. Persino il pubblicitario Adrián Bettini non è convinto. Non è possibile che la formula vincente stia nella semplicità spensierata di un valzer di Strauss riadattato. L’immaginario collettivo è pieno di ricordi bui che difficilmente si cancelleranno, ma forse proprio la leggerezza della televisione può far presa sulle coscienze avvelenate. Sotto le macerie della democrazia, l’amore può imprimere una nuova direzione agli eventi. Come mostra la bella foto scelta per la copertina, i giovani sentono la necessità del cambiamento e sono pronti a spiccare il salto verso la libertà, interpretando il loro ruolo e cercando le risposte tra le righe dei grandi classici che si studiano a scuola o negli idoli della cultura pop. Nico Santos e Patricia Bettini sono tra quei ragazzi che conoscono i frammenti ellenici e leggono Shakespeare e Dante, riscoprendone l’attualità grazie agli insegnamenti del docente di filosofia e del professore d’inglese Rafael Paredes; ma nei giorni che precedono  il plebiscito, tutto pare sul punto di precipitare perché la scia di sparizioni e di sangue non accenna a fermarsi. Antonio Skármeta costruisce con delicata poesia una storia che era inizialmente destata al teatro e che diventerà la base per il film di Pablo Larraín “No – I giorni dell’arcobaleno”, anche se nel romanzo lo sguardo degli adolescenti e il loro bisogno resistere danno un tono diverso alla vicenda, ricordando “L’attimo fuggente” di Peter Weir.
 
 
http://youtu.be/6l9QksdCfV0