giovedì 7 agosto 2014

IL BALLO Irène Némirovsky



Henri Cartier-Bresson



In questo romanzo breve, Irène Némirovsky descrive turbamenti di una ragazzza nel passaggio dall'infanzia all'adolescienza. Antoinette è una giovane che inizia ad aprirsi al mondo, sognando l'amore romantico e il luccichio delle feste; ma i desideri sono offuscati dalla gretta realtà del suo corpo che, preda dei mutamenti dell'età, non sembra più appartenerle.

Il racconto, probabilmente in larga misura autobiografico, lascia sullo sfondo questa materialità non voluta per concentrarsi invece sugli aspetti psicologici della crescita. Lo stile lucido e moderno dell'autrice gioca su una struttura essenziale, che contrappone le emozioni della protagonista a quelle di sua madre.

Rosine e Alfred Kampf sono due nuovi ricchi e la relazione coniugale sembra incrinarsi davanti alla necessità di mantenere una facciata che conceda loro una certa visibilità in un quartiere della Parigi novecentesca. Il contegno di fronte ai vicini e alla servitù ha il sapore fasullo della posa aristocratica e, quando decidono di dare una festa nella grande casa comprata quasi miracolosamente con i proventi della speculazione finanziaria, scrivono inviti a tutti gli individui più influenti, nobili e chiacchierati dell città.

L'attesa dell'evento scuote tanto la madre quanto la figlia perché corrisponde a un debutto, rappresenta l'ingresso in una società dalla quale entrambe si sentono escluse, ma mentre per Antoinette quest'impressione è soprattutto soggettiva e idealizza il concetto della Morte associato alla Bellezza, la donna esterna la sua ansia e il suo bisogno di successo nei meticolosi preparativi per il party. Per lei si tratta dell'oppurtunità di vivere una seconda giovinezza immersa nel lusso frivolo e mondano che aveva sempre sognato. La fame di successo offusca ogni altro istinto, compreso quello materno: quella che ieri era una bambina da coccolare oggi è un peso che deve sparire in modo che tutto sia perfetto e gli ospiti non siano imbarazzati.

Di fronte alla freddezza formale della madre, Antoinette è addolorata fino a raggiungere una forma d'amore che confina con l'odio e che si manifesta con l'impuso di compiere un "gesto selvaggio" e distruttivo. Spinta dall'idea di vendetta, straccia i biglietti destinati agli invitati e li getta nelle acque scure della Senna. È l'immagine più potente dell'intero testo, sintesi metaforica della fugacità dell'esistenza: le buste accartocciate e poi ridotte in coriandoli, vengono inghiottite dal buio mentre intorno brillano le luci della famosa Ville Lumière.

Numerosi personaggi dai tratti ben delineati fanno da corollario al nucleo narrativo costituito dalla tensione madre / figlia. Innanzi tutto Alfre Kampf, il padre, che interpreta la fatica dell'ascesa sociale in una versione tipicamente maschile. Secondo la sua visionedelle cose, la ricchezza improvvisa si accompagna alla presenza di una bella moglie, ornamentale ma non sostanziale, che si deve far sentire il meno possibile e parlare solo per luoghi comuni. Per il resto, l'uomo appare quasi come un'ombra, con le caratteristiche del grigio bancario borghese in un contesto nel quale i soldi contano più dei sentimenti e il cuore s'inaridisce.

E poi ci sono le due istitutrici di Antoinette, "l'inglesina" Miss Betty – che pare meritare considerazione solo in virtù della sua nazionalità – e la signorina Isabelle. Quest'ultima è il complemento perfetto che integra sia la figura di Rosine sia quella della figlia. Da un lato i baci tra l'insegnante di pianoforte e il suo "amante" scatenano l'azione ribelle di Antoinette e, in maniera quasi antitetica, i commenti pungenti della donna sembrano umiliare ancora più profondamente la padrona di casa ferita dal fallimento della festa.

Ovviamente, infatti, all'ora stabilita nessuno si presenta alla porta e l'inutilità delle sale pronte per il ricevimento riecheggia la futilità ingiusta di una recita collettiva in cui persino i camerieri – ultime comparse di un dramma tragicomico – abbandonano il loro ruolo per dimostrarsi vilmente umani.

Il finale è una piccola perla d'equilibrio: di nascosto, Antoinette spia la disfatta della madre, la vede far cadere la maschera, e sciogliersi, e così riconquista un briciolo dell'affetto perduto in un abbraccio che è dettato esclusivamente dalla voglia di protezione tardiva. Non c'è calore di un questa vittoria meschina: la protagonista ha completato il suo personale rito di passaggio, è emersa dall'angolo nel quale era stata relegata e ha raccolto l'eredità di una persona ormai sfiorita ma la trasformazione genera una pietà transitoria e artefatta, anche se apparentemente sincera.

Marc Chagall

 

L'opera di Irène Némirovsky – ebrea ucraina emigrata a Parigi per sfuggire alle persecuzioni razziali solo per poi cadere vittima del nazismo - è stata riscoperta solo di recente dal grande pubblico e comunque si colloca ancora in una sfera di nicchia per estimatori. Sarebbe limitativo rubricare l'autrice sotto l'etichetta del femminismo: certamente in Antoinette si leggono i prodromi dell'emancipazione di genere e il gesto di distruggere le lettere che le erano state affidate potrebbe essere interpretato come una rottura definitiva con il canone che voleva la donna sempre remissiva e inquadrata nelle regole vigenti. D'altronde siamo nell'epoca in cui le rivendicazioni delle donne prendono corpo e spessore letterario un po' in tutto il mondo e Virginia Woolf scrive "Una Stanza tutta per Sé". Nella Némirovsky, però, si respira il cosmopolitismo dei salotti parigini e, in controluce, si delinea lo sforzo di affermazione degli ebrei della nuova classe media. In questo senso, "Il Ballo" anticipa i duri temi affrontati in "David Golder" – pubblicato un anno dopo con gran plauso della critica – ma qui la critica all'etica del denaro assume sfumature prettamente femminili che si avicinano alle pagine di Colette o di Georges Sand lasciando sullo sfondo gli argomenti tipici del romanzo yddish mitteleuropeo per favorire la chiarezza dell'analisi psicologica di ciascun personaggio e il bilanciamento di uno stile cesellato che forse riecheggia Flaubert..
Tornando a spostare la latitudine geografica ma mantenendo il medesimo asse cronologico, si potrebbe accostare questo testo ai racconti della scrittrice statunitense Dorothy Parker che, descrivendo la vita mondana degli affollati salotti della upper class, riporta alla stessa sensazione di vuoto emotivo.