giovedì 14 novembre 2013

PENELOPE ERA UN'ILLUSA? (incontro con Michela Marzano)


 
Il discorso di Michela Marzano sull’amore mi ha fatto venir voglia di scrivere qualcosa a riguardo.

“Amare è dare ciò che non si ha a chi non lo vuole” sosteneva Jacques Lacan e questo è il punto centrale del libro della Marzano. Quando teniamo a qualcuno, proiettiamo i nostri bisogni e quidi cerchiamo di dare ciò che a noi manca e che vorremmo ricevere. Dunque, c’è sempre una certa incomunicabilità nel rapporto, perché è ovvio che l’altra persona non rispecchi i nostri bisogni ed è nell’accettazione reciproca che si apre uno spiraglio di libertà attraverso il quale si può riconoscere e accettare il cambiamento – sia in sé stessi che nel prossimo. Freud ci insegna che la”scelta” di un compagno è guidata da una sorta di ripetizione, cioè dalla volontà di ricreare una relazione perduta che ci possa completare. La psicanalisi mostra però che il vuoto è qualcosa di connaturato alla struttura umana e che perciò non esiste una complementarietà perfetta che possa “curare” certe ferite. È in quest’ottica che bisognerebbe rivalutare l’idea della fedeltà come valore. Nessuno è in grado di promettere l’eterna fedeltà intellettuale perché, secondo una massima di Nietzsche, “Non si può promettere qualcosa che ha a che fare con la sfera del essere e non con quella del fare: altrimenti sarebbe come sminuire il sentimento a una mera serie di gesti”. È però plausibile impegnarsi a essere sinceri, ossia segnalare il cambiamento e renderne partecipe il partner. Quante volte sentiamo la frase: «Siamo cresciuti in modo diverso» per giustificare la fine di una storia? Se l’amore per una persona è destinato a svanire, il sentimento rimane come elemento che ha plasmato la nostra identità, ovvero finisce lo stato di innamoramento ma perdura il senso più essenziale della nostra esperienza. E qui dovremmo cominciare una riflessione sulla scorta di Javier Marías sull’innamoramento universalmente considerato positivo ma che spesso diventa il paravento per giustificare qualsiasi bassezza. Secondo l’autore spagnolo “Non è mai possibile conoscere la verità nei dettagli” perché si presenta aggrovigliata, non lineare. Scontrandoci con il quotidiano, dovremmo abbandonare gli ideali che ci siamo costruiti fin da bambini – i miti stucchevoli del Principe Azzurro e la Principessa Rosa – e calarci nella realtà. In un contesto meno zuccheroso, senza i fronzoli della leggenda si cala nel quotidiano, sporcandosi ma diventando al contempo più utile e meno pericoloso, meno violento. L’unica soluzione percorribile è accettare le nostre mancanze come simili e parallele alle mancanze dell’altro e così imparare a vedere nuove possibilità laddove prima non avremmo neppure cercato.  

È qui che l’autrice – docente di filosofia alla Sorbona – si ricollega alla figura archetipica di Penelope, la moglie devota che si è illusa che nulla fosse mutato nei quindici libri di assenza dal poema e solo dopo si accorge fatalmente che non è così e che suo marito è sì tornato da un periplo lungo vent’anni, ma lei non ha vinto perché non ha più lo stesso uomo.

Allora la tela – simbolo del controllo – non è servita a fermare il tempo e a eterizzare le caratteristiche di una situazione passata: Ulisse vuole ripartire perché il suo scopo è la conoscenza e non tanto il mantenimento del nucleo famigliare che lei aveva tanto difeso ingannando i Proci e impedendo loro di prendere il potere.  Nella decostruzione del mito della fedeltà coniugale, è interessante menzionare alcune tradizioni più tarde rispetto a Omero, che dipingono un personaggio del tutto diverso, quasi opposto: secondo alcuni, durante la lunga assenza di Ulisse, la donna si concesse al dio Ermes diventando madre di Pan; altri concludono il mito con il ripudio da parte del marito (analogo alla fredda decisione di Rama dopo aver riscattato la sua sposa, Sita); altri ancora sostengono che dopo la morte del marito, lei avesse sposato Telegono, figlio dello stesso Ulisse e di Circe.

Il canto del poeta ha dato a Penelope quell’immortalità che la gelosa Calypso le negava ma è rimasta legata alla memoria: la sua tela non è solo un mezzo per fare e disfare lo Spazio – creando un rifugio tutto per sé, alla maniera di Virginia Woolf – ma serve anche a manipolare il Tempo; essa è una prigione che si compone delle maglie del ricordo. Si potrebbe quindi tornare a Marías (e a Shakespeare) citando l’estremo “Avrebbe dovuto morire più avanti” di Macbeth che in spiega sinteticamente il ruolo centrale che persino un defunto può assumere nella vita delle persone che gli sono rimaste legate. Questa idea allargata, permette di considerare non solo la Penelope-moglie ma anche la madre che si preoccupa del figlio.

Lungi dal voler tentare un’esegesi approfondita dell’Odissea, posso dire che Ulisse non è il solo a partire tornando poi diverso, più maturo o semplicemente più vecchio, inizialmente irriconoscibile persino agli occhi di colei che lo aveva tanto aspettato; anche Telemaco intraprende il suo personale viaggio di formazione lo fa passare dall’infanzia all’età adulta attraverso l’archetipo classico del rapporto conflittuale con il padre assente. Le sfumature della relazione genitoriale non si esauriscono in maniera ovvia nella figura del principe: in primo luogo se Telemaco è doppiamente abbandonato - prima negato dal padre e poi spodestato dagli estranei che occupano la reggia – certo non se la passa meglio il suo fratellastro Telegono che s’imbarcherà a sua volta in un viaggio alla ricerca del padre (e di se stesso), dietro consiglio di Atena e sarà così destinato a compiere la profezia uccidendo Ulisse. C’è però un altro aspetto più contingente, in quanto spicca già nel poema omerico: l’amore di Penelope verso Odisseo non è l’eros passionale, ma piuttosto un’attesa affettuosa – rappresentato ancora una volta dal lavoro paziente al telaio – simile alla pazienza che si prova per un figlio che un giorno diventerà “prodigo” (ma che fine fa poi il famoso figliol prodigo?). D’altra parte, la sola “Telemachia” non basta per spiegare l’evoluzione caratteriale tipica della giovinezza, un’evoluzione che è simile a quella del padre – votato alle peregrinazioni malinconiche e avventurose – e che trova il suo contraltare nella maturità sentimentale di Nausicaa.

Claudio Magris, sulla scorta di molti commentatori contemporanei, trova nella principessa dei Feaci una purezza che deriva da quella mancanza di dominio che, non alterando il rapporto amoroso, lo lascia nel regno delle possibilità, ma alcuni elementi chiudono un cerchio che altrimenti resterebbe incompleto: fonti più tarde parlano di Persepolis (o Ptoliporthus), forse nato da Telemaco e Nausicaa. La storia non si conclude nei ventiquattro libri dell’Odissea, perché Ulisse resta ben poco tempo a Itaca riprendendo poi il mare verso il Regno dei Tesproti, dove sposò Callidice ed ebbe nuova discendenza.

Le eventuali domande da porre nel prossimo incontro letterario verteranno quindi sulle figure dimenticate nel racconto ufficiale.

venerdì 4 ottobre 2013

NOSTALGIA DE LA LUZ




 
Il regista Patricio Guzmán è specializzato nell’analizzare il “periodo buio” della storia cilena, quella parentesi di quindici anni che rimane come uno strappo nella coscienza collettiva della nazione. “Nostalgía de la luz” (2010) affronta il tema da una prospettiva documentaristica e poetica, attraverso un viaggio socio-scientifico nel territorio del deserto di Atacama, una delle regioni più aride e affascinanti del mondo. In questo luogo marziano s’incontrano astronomi e archeologi, entrambi impegnati a risolvere gli interrogativi sull’origine della Terra e dell’Uomo. Purtroppo gli studiosi non sono gli unici a cercare risposte: i parenti dei desaparecidos della dittatura stanno ancora raccogliendo i resti dei loro cari sparsi in mezzo alla sabbia e, per quanto di sia un aspetto romantico nella vicenda di un gruppo di prigionieri che, rinchiusi nel campo di una vecchia miniera, passavano le serate a scrutare il cielo trasparente per sentirsi liberi, il Paese deve ancora fare i conti con un trauma terribile, che si ripresenta ogni giorno nella vita quotidiana delle quasi  60.000 persone torturate dai militari di Pinochet. Non si tratta semplicemente di rintracciare i corpi scomparsi o di trovare motivazioni all’orrore, quanto piuttosto di accettare – a livello pratico e spirituale – le conseguenze delle ferite. Ognuno usa la propria esperienza per colmare il vuoto e spiegare la questione di fondo: non tanto “come è cominciato”, ma “dov’ero io quando questo avveniva?”. Come avviene nel libro “Il Deserto” di Carlos Franz, ascoltiamo una polifonia di voci, tutte provenienti dallo stesso spazio ma tutte con accenti e toni diversi: ci sono i paleontologi che seguono le tracce nomadi degli antichi pastori pre-colombiani, i ricercatori della stazione d’osservazione internazionale ALMA, la commozione delle donne che continuano a scavare senza darsi pace e i figli dell’esilio, che faticano costruirsi un’identità. Esattamente come nel romanzo, due poli estremi si toccano perché l’astro che porta la luce (quello che “non si può nominare”) veglia sui morti che sono sottoterra. Dato che i punti di riferimento sono irrimediabilmente perduti, è necessario disegnare una nuova mappa che mescoli memoria e intuizione, combattendo l’oblio. Le rilevazioni cosmografiche corrispondono alle stupefacenti planimetrie di Miguel Lawner, in cui la precisione dimensionale dell’architetto si mescola all’urgenza della testimonianza. Spostando quest’approccio visivo sul piano interiore e metaforico, si può tentare un paragone tra le piante misurate a passi e il lavoro di compilazione del protagonista di “La Fine del Mondo e il Paese delle Meraviglie” dello scrittore giapponese Haruki Murakami: una persona alla quale è stata portata via l’ombra percorre il perimetro della città in cui è recluso, sperando d’individuare un piccola falla nelle alte mura, fino a comprendere che la fortificazione si nutre dei sentimenti di chi è intrappolato. “Nostalgía de la Luz”, premiato all’European Film Festival, affascina con la forza delle immagini – che accostano i movimenti galattici al suolo rosso – e con la bellezza di un linguaggio pulito; come una buona lettura genera domande invece di fabbricare certezze.


 

mercoledì 2 ottobre 2013

KIM TONG-NI & LA SCIAMANA DI CHATSIL


 
Kim Tong-ni (pseudonimo di Kim Shi-jong) è nato a Gyoengju, in Corea del Sud nel 1913. attivo in diverse organizzazione di carattere letterario, è stato anche proposto per il Premio Nobel. è morto nel 1995

Il lavoro di Kim ha a che fare con i temi del folclore coreano visti attraverso la prospettiva moderna. in quanto sostenitore di una “letteratura pura”, Kim Tong-ni ha scritto una serie di saggi opponendosi alla letteratura di stampo ideologico (The True Meaning of Pure Literature (Sunsu munhagui jinui, 1946) and The Theory of National Literature (Minjok munhangnon, 1948).

Il mondo letterario di Kim Tong-ni mescola il misticismo tradizionale e il realismo e s’interroga sul concetto di destino e sul posto dell’uomo nell’universo, usando come metro di paragone il mondo spirituale della Corea tradizionale, in contrasto con gli elementi portati da una cultura straniera. I suoi primi lavori sono incentrati sui miti ed esplorano la relazione tra Sciamanesimo e Confucianesimo, tra Cristianesimo e Buddhismo servendosi degli espedienti narrativi del Naturismo. Ritratto di una Sciamana (1936), che poi sarà trasformato in un romanzo più lungo Ŭlhwa descrive il conflitto generazionale e spirituale tra una madre sciamana e il figlio cristiano. Attraverso il suicidio della donna, l’autore intendeva predire il declino delle antiche credenze in favore delle nuove dottrine appena importate.

Dopo la Guerra di Corea (1950-1953), Kim Tong-ni ha toccato nuove tematiche, denunciando gli scontri politici e la sofferenza della gente durante il conflitto. Evacuation of Heungnam (Heungnam cheolsu) si basa su di un fatto vero: la ritirata delle forze dell’ONU dalla città di Hŭngnam, che ha dato libero sfogo al contrasto tra comunisti e anti-comunisti. Dance of Existence (Siljonmu)  racconta di una storia d’amore tra un uomo nordcoreano e una donna del sud. Apparentemente, in queste opere l’autore cercava di universalizzare gli elementi tradizionali dell’identità coreana, trasportandoli in una realtà contemporanea. In The Cross of Shaphan (Sabanui sipjaga, 1957) Kim inventa un uomo crocifisso accanto a Gesù e combina le istanze politiche all’atteggiamento critico verso la cultura occidentale.

Alcune delle novelle di Kim sono state tradotte in inglese e raccolte nel volume Loess Valley. Le storie contenute in questo libro possono essere lette come parabole dell’effetto dannoso esercitato dalla Cina sulla Corea. Si tratta di testi pieni di violenza che sono interessanti da leggere ma non troppo significativi dal punto di vista stilistico. In Il Ritratto della Sciamana (che poi diventerà Ŭlhwa) la protagonista è una sciamana che vive con la figlia sordomuta e che ritrova il figlio, convertito al cristianesimo: ne deriva un conflitto per la supremazia religiosa che finisce con esiti tragici.  Spesso nelle opere di Kim il trauma della guerra si ripercuote sulle storie famigliari e sui valori tradizionali in contrapposizione con quelli occidentali.

PREMI:

Tra i riconoscimenti ottenuti da Kim Tong-ni spiccano il Premio dell’Accademia Coreana delle Arti, il Premio Freedom Literature e l’Onore al merito della Repubblica di Corea.

OPERE TRADOTTE

  • The Cry of the Magpies
  • La Croix De Schaphan
  • Loess Valley
  • The Cross of Shaphan
  • La sciamana di Chatsil

 

ELENCO PARZIALE DELLE OPERE IN COREANO

  • Hwarangui huye (화랑의 후예, A Descendant of the Hwarang
  • Bawi (바위, The Rock)
  • Seondosan (선도산, Seondo Mountain)
  • Seomun geori (서문거리, Seomun Street)
  • Munyeodo (무녀도, Portrait of a shaman, 1936)
  • Hwangtogi (황토기, Loess Valley, 1939)
  • Sabanui sipjaga (사반의 십자가, 1955)

 

NOTE DI ANTROPOLOGIA CULTURALE

MYŎNGDO: Specchio convesso di bronzo che simboleggiava il sole e la luna o la luce divina universale. È anche un ricettore per gli spiriti. In origine veniva indossato dallo sciamano, che lo appendeva al collo o lo appoggiava sulla schiena come protezione per il corpo e l’anima. Il termine è anche sinonimo di “t’eaju” indica anche una donna posseduta dallo spirito di un bambino morto di vaiolo o di morbillo, grazie al quale lei è in grado di leggere il futuro, mentre di norma le sciamane vengono possedute solo durante i riti. 

INVOCAZIONI RITUALI: in certe scuole sciamaniche o buddhiste, si usa sfregare i palmi delle mani con un movimento rapido e leggero, mentre le si porta giunte alla fronte e poi di nuovo al petto.

KWISHIN: Spirito demoniaco di un uomo non sposato che vaga sulla Terra per via di rimpianti o rancori.

KIMCHI: Pietanza che in genere accompagna il riso o altri cibi. Viene preparato con daikon, cipollotti, aglio e peperoncino e poi fatto fermentare. Non manca mai nelle famiglie coreane che ancora oggi ne preparano scorte che possono essere conservate a lungo.

PUDDAKKŎRI: piccola cerimonia sciamanica

OGU: grande cerimonia sciamanica. È un tipo di “kut” (rituale sciamanico) che viene praticato molto sulla costa orientale della penisola e nella regione di Kyŏngsangdo. La sciamana invita uno spirito che vaga sulla terra per un desiderio irrealizzato o per un risentimento e lo aiuta ad andare in Cielo senza rimpianti. Il termine “ogu” deriva da una storia citata molto spesso nei rituali sciamanici, in cui si narra di un re malato (di nome Ogu, appunto) che guarisce grazie al coraggio e alla dedizione di Perittegi, l’ultima delle sue nove figlie.

CHŎNSHIN: Spirito del Cielo. È la divinità suprema del credo sciamanico e governa il mondo insieme agli altri spiriti.

SANSHIN: Spirito della Montagna. In Corea, ogni tempio possiede uno spazio a lui dedicato. In genere nei dipinti è raffigurato come un vecchio seduto accanto a una tigre, in una valle profonda.

CHESŎK: Il più venerato degli spiriti dello sciamanesimo, chiamato anche Chesŏknim.

CH’ILSŎNGSHIN: è lo Spirito delle Sette Stelle, che ha origine nel taoismo. La costellazione dell’Orsa Maggiore, con il quale s’identifica, controlla la buona e la cattiva sorte, forse perché è visibile durante tutto l’anno. Si tratta di uno spirito particolarmente venerato dalle donne che desiderano avere figli e in alcuni grandi templi c’è un intero santuario a lui dedicato (il rito in onore di questo spirito si chiama ch’ilsŏng).

PYŎLSANG: Spirito messaggero del vaiolo, detto anche “Ospite” (“Sonnim” in coreano) perché arrivava dall’estero. Non si sa di preciso ma si presume che tale malattia sia giunta in Corea dalla Cina. Per scacciare questo spirito, la sciamana esegue la cerimonia denominata “Sonnim-kut” o “Pyŏlsang-kori”

CHUDANGSAL KARIM: La sciamana esegue la purificazione percuotendo un tamburo bipelle perché si ritiene che questo suono faccia uscire gli spiriti maligni che vagano per la casa. Alla fine li scaccia dal luogo ormai consacrato.

KISAENG: Intrattenitrice esperta in varie arti il cui ruolo era simile a quello della geisha in Giappone.

MONG-DU-RI: I costumi indossati dalle kisaeng durante le danze nelle feste reali del periodo Chŏson (1392-1910): consisteva in un soprabito verde allacciato da un nastro rosso.

HWARANGI: Sciamani che suonano diversi strumenti durante un rito.

YŎLWANG-KUT o SIWANG-KUT: invocazione ai Dieci Re che governano l’inferno. Il Giudice tenuto in maggior considerazione è Yama (YŎNMA-TAE-WANG, in coreano), il Signore dei Morti preso dall’induismo.

TIRO ALLA FUNE: Un gioco folcloristico che coinvolgeva le persone di più villaggi. Si pensava che i vincitori avrebbero avuto un buon raccolto.

SŎNGJU: Rito in onore dello Spirito protettore della casa.

 GIARDINO DEI FIORI NEL MONDO DELL’OVEST: Terra promessa della dottrina buddhista, corrisponde grosso modo al concetto di Paradiso cristiano.

MUSAN SŎN-NYŎ: Secondo la leggenda della tradizione cinese, è la dea della bellezza che risiede sul monte Musan.

KAMJU: Bevanda a base di riso, ottenuta da una leggera fermentazione. Si consuma specialmente durante le festività.

MAKKŎLLI: Liquore lattiginoso che molte famiglie producono in casa ricavandolo dal riso. È una bevanda tipicamente coreana, molto nutriente e venduta a buon mercato specialmente nelle campagne.

YANGSHIN: Spirito del Drago. È una divinità di origine taoista che governa le acque. Talvolta invia sulla Terra delle tartarughe – i suoi messaggeri – in soccorso delle persone oneste e meritevoli.

SAMSHIN: Tre Spiriti, è la divinità protettrice del concepimento, della nascita e dei bambini.

SŎNGJUSHIN: Divinità guardiana che assicura la protezione e la ricchezza della casa.

CHOWANGSHIN: Divinità protettrice della cucina e della salute dei bambini e dei famigliari.

  SHINSŎN: Eremita taoista dai poteri sovrannaturali.

lunedì 23 settembre 2013

NERUDA: omaggio per il 40° anniversario della morte di RICARDO ELIÉCER NEFTALÍ REYES BASOALTO


L'uva e il vento è uno dei tanti "figli di carta" del poeta Pablo Neruda. Un uomo inquieto, nel quale la scrittura coincide con un'opera di conquista poetica del mondo, in un viaggio fisico e metafisico tra luoghi diversi. Fra questi l'Italia occupa un posto speciale grazie alla parentesi caprese resa celebre anche dal libro di Skármeta (e dal film con Massimo Troisi). Questa raccolta, scritta tra il 1951 e il '53, è frutto delle molteplici esperienze vissute dall'ambasciatore, dalla persona, dall'autore; è un libro nato dalle luci e dalle ombre di una terra ricca, aspra e dolce.

UN GIORNO

A te, amore, questo giorno
lo consacro a te.
Nacque azzurro, con un'ala
bianca in mezzo al cielo.

Giunse la luce
all'immobilità dei cipressi.
Esseri minuscoli
sbucarono sull'orlo di una foglia
o sulla chiazza del sole su una pietra.

E il giorno rimarrà azzurro
finché entrerà la notte come un fiume
e farà tremare l'ombra con le sue acque azzurre.

A te, amore, questo giorno.

Non appena, da lontano, dal sogno,
l'ho presagito e non appena
mi ha sfiorato il suo tessuto
di rete incalcolabile
ho pensato: è per lei.

Fu un battito d'argento,
fu un pesce azzurro che volava sul mare,
fu un contatto di sabbie abbaglianti,
fu il volo d'una freccia
che tra il cielo e la terra
attraversò il mio sangue
e come un raggio accolsi nel mio corpo
lo straripante splendore del giorno.

È per te, amore mio.

Io dissi: è per lei.

Questa veste è sua.

Il lampo azzurro che si fermò
sull'acqua e sulla terra
lo consacro a te.

A te, amore, questo giorno.

Come una coppa elettrica
o una corolla d'acqua tremante,
alzalo nelle tue mani,
bevilo con gli occhi e con la bocca,
riversalo nelle tue vene perché arda
la stessa luce nel tuo sangue e nel mio

mercoledì 18 settembre 2013

DUE IN UNO Sayed Kashua


 
 
“L'uomo si dimostra intelligente solo quando riesce a disfarsi di ogni identità”, non ci si può basare solo sui nomi, che non sempre consentono di distinguere la comunità d'appartenenza. Il pensiero illuminato prescinde dalle tradizioni, specie in una società complessa come quella d'Israele. È un territorio difficile, dilaniato e conteso, dove – più che in ogni altro luogo al mondo – si materializza la semplicistica teoria dello “Scontro di civiltà” profetizzato da Huntington. Due mondi che cercano di trovare degli spazi di dialogo o almeno di convivenza, due realtà apparentemente separate, ma avvicinate da una moltitudine di sfumature che rendono labili i confini. Quando un avvocato scopre un biglietto scritto dalla moglie a un altro uomo, tutte le sue convinzioni progressiste si sgretolano nell'ossessione che lo riporta alle radici campagnole, di cui si vergogna davanti agli amici. Parallelamente, un giovane assistente sociale arabo entra nell'universo di Yonatan, il ragazzo ebreo di cui si prende cura dopo “l’incidente” che l’ha costretto a letto – inespressivo ma forse consapevole. Sempre più affascinato dalle possibilità di un ambiente distante, occidentalizzato, artistico comincia a sfogliare i libri del suo paziente, ad ascoltare i dischi, a osservare gli oggetti della villetta in cui alloggia. Inizia così a leggere ciò che lo circonda attraverso la macchina fotografica del giovane, rivelando i segreti delle persone che ritrae e contemporaneamente confondendo ulteriormente la propria auto-rappresentazione, immedesimandosi totalmente nell'Altro, modificando il proprio percorso fino a scomparire, sentendosi uno straniero ai suoi stessi occhi. In “Due in uno”, i personaggi vivono le loro lotte interiori come pallidi echi del dramma nazionale, come se questo fosse lontano o estraneo agli individui, e contassero solo le piccole cose quotidiane dalle quali ogni volta riparte la costruzione perfetta dei tasselli narrativi. Sayed Kashua racconta il bisogno d'integrazione con una forza espressiva corale, a volte ironica, differente dallo stile asciutto, tragico e quasi teatrale di “E fu mattina”: in questa nuova prova d’autore si apre su un palcoscenico più ampio che, frazionato al suo interno, vorrebbe guardare al panorama globale.  
 
illustrazione: NAJI AL-ALI

 

mercoledì 11 settembre 2013

I GIORNI DELL'ARCOBALENO Antonio Skármeta / Pablo Larraín


Einaudi, 170 pp., 19€

 
Nel 1988, dopo quindici anni di feroce repressione, il Cile sembra un Paese completamente assuefatto al terrore e alla violenza: i cittadini sono come “i prigionieri del mito della caverna di Platone” che potevano guardare solo le ombre delle cose reali. Anche in una situazione così disperata, la musica e la letteratura conservano il loro potere universale e hanno ancora la capacità di porre degli interrogativi e di risvegliare l’allegria assopito nel cuore della gente. Quando l’arroganza della dittatura indice un referendum pro o contro Pinochet, pochi pensano che la campagna per il No – trasmessa solo per quindici minuti – abbia qualche possibilità di successo: sono troppi gli indecisi, quelli che hanno paura delle conseguenze del voto. Persino il pubblicitario Adrián Bettini non è convinto. Non è possibile che la formula vincente stia nella semplicità spensierata di un valzer di Strauss riadattato. L’immaginario collettivo è pieno di ricordi bui che difficilmente si cancelleranno, ma forse proprio la leggerezza della televisione può far presa sulle coscienze avvelenate. Sotto le macerie della democrazia, l’amore può imprimere una nuova direzione agli eventi. Come mostra la bella foto scelta per la copertina, i giovani sentono la necessità del cambiamento e sono pronti a spiccare il salto verso la libertà, interpretando il loro ruolo e cercando le risposte tra le righe dei grandi classici che si studiano a scuola o negli idoli della cultura pop. Nico Santos e Patricia Bettini sono tra quei ragazzi che conoscono i frammenti ellenici e leggono Shakespeare e Dante, riscoprendone l’attualità grazie agli insegnamenti del docente di filosofia e del professore d’inglese Rafael Paredes; ma nei giorni che precedono  il plebiscito, tutto pare sul punto di precipitare perché la scia di sparizioni e di sangue non accenna a fermarsi. Antonio Skármeta costruisce con delicata poesia una storia che era inizialmente destata al teatro e che diventerà la base per il film di Pablo Larraín “No – I giorni dell’arcobaleno”, anche se nel romanzo lo sguardo degli adolescenti e il loro bisogno resistere danno un tono diverso alla vicenda, ricordando “L’attimo fuggente” di Peter Weir.
 
 
http://youtu.be/6l9QksdCfV0



sabato 3 agosto 2013

IL SIGNORE DEGLI ORFANI Adam Johnson




 

 

Se una persona non ha legami, che cosa la trattiene? L’unico modo di scrollarsi di dosso i propri fantasmi era trovarli.

Per sopravvivere in questo mondo devi essere un codardo parecchie volte, ma anche un eroe, almeno una volta.

Usa la tua immaginazione solo per il futuro. Mai per il presente o per il passato.

La missione è sempre quella di rimanere vivi.

Io so che una cosa è reale e l’altra invece è un sogno, ma continuo a dimenticarmene, così entrambe sono vere.

Tu sei un sopravvissuto che non ha niente per cui vivere.

Era qualcosa di insondabile quel legame con le madri, i padri, i colleghi perduti. Il fatto che quelle persone rimanessero fissate per sempre in caratteri di stampa.

Chiuse gli occhi e gli parve che la moglie del Secondo Ufficiale fosse ancora lì a curarlo, come quando il viso era ancora completamente tumefatto, quando lei era soltanto il profumo di una donna, i rumori che fa una donna, quando Jun Do aveva la febbre e cercava d’immaginare il viso della donna che lo avrebbe salvato.

Questa storia è difficile da ascoltare così come da raccontare.

Io so che in guerra nessuno dei due contendenti ha il monopolio dell’indicibile. E non sono così ingenua da pensare che i motori dei giusti non siano alimentati dal carburante dell’ingiustizia.

Se ti dicono che tu sei un orfano, allora tu sei un orfano. Se ti dicono di fare del male alla gente, allora comincia tutto …

Nella Corea del Nord ciò che conta non è l’uomo ma la sua storia. ma che significato poteva avere lui se la storia non era nulla, soltanto un accenno di vita?

Il fiore bianco e soverchiante del dolore può essere usato solo una volta.

La nostra squadra scopre un’intera vita, con tutte le sue complessità e le sue motivazioni, poi la plasma in un unico volume originale che contiene tutta quella persona. [ …] Noi cerchiamo solo la verità. [… ] Non appena scopriamo l’interiorità del soggetto, ciò che lo spinge a comportarsi in un certo modo , noi sappiamo non solo tutto ciò che ha fatto, ma anche tutto ciò che farà.

Sun Moon era una donna talmente pura da non sapere che aspetto avessero le persone che morivano di fame.

La sottile arte dell’interrogatorio è nutrire uno sconfinato interesse per i soggetti.

L’esperimento della mia biografia è stato un fallimento – dov’era il me e dov’era l’io? – e naturalmente è stato difficile liberarsi della sensazione che se l’avessi portata a termine, poi mi sarebbe accaduto qualcosa di brutto. [Dovrei] scrivere la mia biografia come se la storia non riguardasse me ma un intrepido addetto agli interrogatori.

La sensazione di emergere dal buio per ritrovarmi subito immerso ancora nel buio non mi piacque.

Non permettere mai che un soggetto entri nella tua mente.

Le sedute di addestramento contro il dolore gli avevano insegnato a trovare la propria riserva.

Sappiate che è impossibile ottenere un  cambiamento, che il lieto fine non esiste davvero.

Nel Comandante Ga si era aperto un divario, una frattura tra la persona che era un tempo e quella che era diventato. Il Compagno Buc era l’unica persona che esisteva su entrambi i versanti di quel vuoto.

A governare le sue azioni non era il destino ma il pericolo.

Tutte le lezioni che devi imparare nella vita ti vengono impartite dal tuo nemico.

Respingere gli impulsi stranieri, provenienti dall’esterno, è un modo per prepararsi a respingere quelli presenti all’interno.

La vera ricerca di sé non può mai essere imitata.

Ga non ha ucciso Sun Moon e i suoi figli. Li ha trasformati in uccellini e ha insegnato loro un canto triste. Poi sono volati via verso il tramonto, in un luogo dove non li troverete mai.

Nella Corea del Nord è facile far sparire qualcuno. Ma chi detiene il potere magico di farlo riapparire?

Suo marito se n’era andato avvolto nella luce, lasciando soltanto la macchia della donna che lui amava, ma lei era solo una quasi-bellezza, una probabile bellezza.

Ga vide le emozioni attraversarle il viso come cambiamenti atmosferici: l’incertezza, come nubi che sgombrassero il sole, lasciò il posto al trasalimento, gli occhi si contrassero, come se avessero cominciato  cadere le prime gocce di pioggia.

Ga era una figura tragica destinata a cadere, a cadere sempre più in basso prima che si possa parlare di redenzione.

Il vero cambiamento non è quello di una persona che va fino in fondo per ottenere una nuova vita interiore?

La tua reincarnazione mostra al popolo che il bene può scaturire dalle sofferenze, che può essere qualcosa di nobile. Che è meglio della verità. [ …] Che non ha un fine particolare. Che è soltanto una cosa che a volte deve essere fatta e che, anche se trentamila persone soffrono insieme a te, tu soffri in solitudine.

Quando lui [Kim Jong-Il] vuole che tu perda più di quanto hai già perso, allora fa in modo di farti avere cose che tu possa perdere. A lui interessa essere appagato e ammira le soluzioni ingegnose.

Gli orfani sono gli unici che devono scegliersi il padre, e lo amano il doppio.

La ferita del non sapere è quella che non guarisce mai.

Ga pensò a quanto fosse difficile capire le menzogne che racconti a te stesso, quelle menzogne che ti permettono di funzionare e andare avanti.

Continuavo a pensare che la biografia del Comandante Ga somigliasse alla mia. I parenti non potevano chiamarci per nome, non esisteva una parola che corrispondesse al nostro io profondo.

 Forse scrivendo la biografia del Comandante Ga avrei potuto scrivere anche la mia.

Lei era semplicemente caduta nelle falle della storia.

Ogni coscienza ha una propria firma elettrica e l’algoritmo del “pilota automatico” riesce a leggerla. Considerate il suo scandagliare come una conversazione con la mente, immaginatelo come una danza con l’identità. Sì, immaginate una matita e una gomma  impegnate in un leggiadro balletto sulla pagina […] L’Io e lo Stato proseguono in questo modo, avvicinandosi sempre di più l’uno all’altro finché finalmente la matita e la gomma sono quasi una cosa sola, si muovono all’unisono, la linea scompare proprio nel momento in cui viene tracciata, le parole si dissolvono prima che si formino le lettere, e alla fine resta solo il bianco.

Ga capì che quella ripetitività serviva a confondere le truppe degli invasori, ma l’effetto non era forse peggiore su coloro i quali dovevano quotidianamente subirlo?

Chi avrebbe potuto cambiare atteggiamento così radicalmente nei confronti del proprio oppressore? Chi avrebbe potuto simpatizzare con il criminale che gli rubava la vita?

Ha letto ogni singola parola che ho scritto. È quello il modo più vero per conoscere il cuore di un’altra persona.

Avevo dimenticato i grilli e le rane d’estate, la foschia pungente che si leva dall’acqua delle risaie.

Avresti potuto diventare chiunque. Non abbiamo bisogno della vista per vedere cosa sei diventato.

Avevano parlato in astratto, danzando intorno ai particolari concreti di quella cosa molto reale che avevano messo in moto.

Tu non puoi lasciarmi, io sono la tua prigioniera. A che serve essere una prigioniera se non c’è un carceriere?

È bene sapere che il mondo è un posto pericoloso e che il futuro è conosciuto solo dalle massime autorità.

Ha restituito alla sua vita la capacità di concentrarsi su un obiettivo. [ …] Ga si accorse allora di avere uno scopo, di aver assunto il controllo di se stesso.

Quel piccolo uomo malvagio voleva costringerla a fingere di essere felice.

Quelle efelidi adesso stanno a significare che al mondo esistono altri tipi di bellezza che non siano semplicemente lo sforzo di somigliare a una porcellana di Pyongyang.

Una nuova vita è degna di essere vissuta se non ti ricordi della vecchia? Paragonata all’oblio, la vita aveva ancora un senso?

Chi avrebbe raccontato le storie dei cittadini, che prove esistevano dell’esistenza delle persone?

La giornata cessò di far parte della vita che avrei voluto e seguitò far parte di quella che già avevo. Sgobbare per nulla in un continuo susseguirsi di fallimenti.

Riuscì a vedere tutte le vite che avrebbe potuto vivere.

Nella Prigione 33 a poco a poco rinunciavi a tutto, a cominciare dal tuo domani e da tutto ciò che avrebbe potuto essere.

La Sun Moon che stava dentro di lui era la riserva che gli avrebbe permesso di sopravvivere alla perdita della Su Moon che stava dinnanzi a lui. […] e quando gli accordi si fecero sconnessi, le note ribelli e solitari, allora capì che quella era anche la sua canzone.

Sarò sempre un ragazzo venuto dal nulla.

Non più tardi di domani avremo infranto ogni regola esistente.

Un giorno non è nulla. Un giorno è solo un fiammifero che accendi dopo che i diecimila fiammiferi precedenti si sono spenti.

… Quella calma che derivava da una lunga e amichevole frequentazione con l’ignoto.

Un nome non è una persona. Non ci si ricorda di una persona per il nome. Per tenere qualcuno in vita, lo metti dentro di te. […] Quello che importa siete voi, non i vostri nomi. Siete voi due, ciò che non dimenticherò mai.

Ci sono persone che entrano nella tua vita e ti rubano tutto.

Il Comandante Ga era stato creato da quel luogo.

Il segreto dell’amore è nel sacrificio.

Questo blocco di cui soffrivo derivava dal fatto che dentro di me sapevo di non conoscere nessuno che volesse ascoltare la mia storia.  [ …] Le persone che avevano bisogno di sentire la mia storia erano le persone che amavo, le persone che mi stavano di fronte e che avevano iniziato a pensare a me come a un estraneo, che erano spaventate da me perché non conoscevano più il vero me.

Non si può dialogare con un libro. Non si può riscrivere una biografia mentre la si sta leggendo.

Se solo ci fosse stato, lì, un posto per una persona che raccoglieva storie umane e poi le metteva per iscritto. Ma Pyongyang era già piena di scrittori di necrologi e io non riesco ad abituarmi ai destini crudeli.

Io non raccolgo più biografie. Adesso m’interessa unicamente la mia storia personale.

Una volta raggiunta l’altra parte avresti potuto leggere chi eri e saresti ridiventato te stesso.

La mia storia è già finita dieci volte, e tuttavia non si ferma mai. La fine continua a venirmi incontro, eppure raggiunge gli altri

I cittadini venivano separati dalla loro storia e questa storia veniva custodita mentre della persona ci si sbarazzava, ma adesso la persona si perde insieme alla storia.

Io non sono sicuro di capire la libertà, ma ho provato cos’è e anche lei adesso la possiede.

Tremante di speranza e, stranamente, di rimpianto azionai l’interruttore. Sembrava che i miei pensieri volassero. Esisteva solo la cosa in sé, senza collegamenti né contesto.

Una ripartenza.

Pensi che, con il passare del tempo, un sostituto possa diventare la cosa vera?
io non posso controllare ciò che canto.

Non esisteva una cosa come l’abbandono, c’erano soltanto persone che si trovavano in posizioni impossibili, persone che avevano speranze migliori, o forse un’unica speranza.

Qualunque cosa, nella Corea del Nord, alla fine si trasformava in malvagia follia.

Ho tirato il filo che ti disferà

Non capisco chi sei. Tu hai ucciso la mia nemesi.

È così che un uomo qualunque diventa un eroe, un martire, una fonte d’ispirazione per tutti. Per sempre.

 

 

 

 

venerdì 12 luglio 2013

12 RACCONTI PER HOPPER


Aracne Edizioni, 115 p., 10 euro

 



 

Carla Cirillo raccoglie 12 racconti ispirati ad altrettanti dipinti di Edward Hopper e così trasforma la luce in parole creando un complesso ipertesto che rende la scrittura densa e concreta. Alla  fine dell'anime “Texnologyze”, i protagonisti raggiungono un mondo popolato di fantasmi rassegnati e si ritrovano dentro le opere del grande pittore americano; analogamente in queste pagine il lettore scopre i sonnolenti paesaggi della periferia e la psicologia di personaggi che fronteggiano la solitudine con la densità luminosa del Realismo e la malinconia di Degas. Si tratta di lasciarsi prendere da un tessuto di citazioni che consentono di penetrare nelle case tranquille, nei locali quasi deserti, nelle camere che smettono di essere anonime solo per brevi momenti, come luoghi e non-luoghi impolverati. L'autrice veneta esalta le qualità cromatiche delle stanze, definendo le ombre (o la loro assenza) con un processo grafico /ottico che ricorda le fotografie di Erwin Olaf e le esperienze di video-poesia.  Le voci narranti confluiscono verso il loro deus ex machina sottolineando l'aspetto umano e intimo dell'artista. Spazio, superfici e colori diventano uno spunto per una serie di riflessioni  filosofiche  che dimostrano una rara capacità di coniugare la sensibilità letteraria a una rete di citazioni. Le digressioni si muovono dai classici greci ai mastri figurativi; dal cinema alla saggistica e, se a volte contribuiscono a dare un tocco di raffinatezza, in alcuni casi appesantiscono il ritmo generando cesure troppo marcate. Se volessimo cercare un termine di paragone, potremmo riferirci al fortunatissimo “L'eleganza del riccio” di Muriel Barbery o a Javier Marías, ma qui  il filo che lega tra loro le storie d'incomprensione, le scene e i quadri corrispondenti è il Tempo: la successione cronologica scandita dal calendario segna la variazione dei chiaroscuri e il susseguirsi delle tappe vissute. Riprendendo la linea concettuale di “Le mitomani favolose”, questi testi mettono al centro la donna, inserendosi nel prolifico filone del romanzo al femminile italiano che va da Claudia Priano a Valeria Parrella.