lunedì 8 settembre 2014

TAKASHI MURAKAMI: CICLO DI ARHAT


 
Domenica 7 settembre 2014 si è conclusa  al Palazzo Reale di Milano la mostra dedicata al Ciclo di Arhat del giapponese Takashi Murakami, uno dei degli più celebri e innovativi del panorama contemporaneo. in bilico tra arte grafica, installazione e scultura, la sua irriverenza ha denunciato la superficialità della cultura commerciale di massa inventando uno stile – il Superfat – fatto di personaggi teneri deformati, ammiccamenti espliciti e ripetizione serializzata di pattern decorativi. La nuova la selezione (purtroppo incompleta) presentata in Italia prende invece le mosse dal trauma che ha scosso la coscienza collettiva del Sol Levante dopo la catastrofe di Fukushima del 2011: non solo una tragedia causata dalla natura ma anche un brusco risveglio da una moratoria adolescenziale che metteva l’uomo al centro di un sogno iper-tecnologico.

I pezzi esposti sono pochi ma impressionanti.



Negli autoritratti, l’autore si rappresenta in piedi sopra una nebulosa spaziale, dominatore di un buco nero che si ripete nelle diverse varianti del soggetto cambiando soltanto il colore dello sfondo fino a raggiungere l’ottimistica apoteosi della rinascita della Terra con lo sbocciare di sorridenti margheritine autocitazioniste. Il tema fioritura di un nuovo mondo post-apocalittico è frequente nella narrativa visiva nipponica sin dai tempi di Hiroshima e, in grandi classici della fantascienza animata come Capitan Harlock, aveva già assunto la veste simbolica dei semi pronti a fiorire da un suolo apparentemente contaminato. Qui lo stile grafico è quello della Street Art ripresa poi dai writers di tutto il mondo, dove persino i teschi diventano faccine carine e colorate. I pianeti di carnei fucsia, azzurri e verde acido sorreggono l’uomo sopravvissuto che a sua volta genera l’Albero della Conoscenza (con qualche richiamo al mito greco di Atena e uno sguardo ai corti indipendenti di Kôji Yamamura). Il dramma si stempera con l’intervento salvifico degli Arhat, i saggi della tradizione buddhista, affiancati dai possenti demoni guardiani. Oltre cento monaci sfilano sui pannelli, tutti raffigurati in pose differenti e sempre con il tono scherzoso di un anime o di un manga di Hokusai in versione tecnicolor. Le dimensioni mutano e i maestri più grandi indossano tuniche che riprendono i motivi della natura: la notte e il giorno; la flora e la fauna mentre Sole e Luna sono brillano simultaneamente sulla Montagna degli Immortali e i Demoni-Cane hanno barbigli colorati e artigli come gemme. La ricchezza della composizione fa scoprire sempre dettagli inaspettati mentre un retino a rombi optical copre un originario fondo che rivela appena un ammasso di ossa, come se la costruzione della civiltà, basata sul bisogno innato di trascendenza, poggiasse in realtà sulla ripetizione della Morte nella Storia.


 
 

    

Nessun commento:

Posta un commento