domenica 27 luglio 2014

L’INCOLORE TAZAKI TSUKURU E I SUOI ANNI DI PELLEGRINAGGIO


Haruki Murakami Einaudi, 260 pp., 20€


 

A ognuno di noi viene assegnato un ruolo; ognuno di noi ha un colore ma anche lo sfondo è importante per far risaltare le tonalità., quanto la luce bianca in un quadro di Edward Hopper. Per un progetto scolastico, cinque liceali formano un gruppo che funziona con la logica strutturale dei classici anime nipponici con gli eroi che incarnano determinate caratteristiche. Tsukuru è l’unico nel cui cognome non ci sia un ideogramma che rimanda alla sfera cromatica ma, tenendo fede al significato proprio nome, Tsukuru ha il compito di “costruire” cose concrete e pur sembrando marginale funge da nodo di collegamento all’interno di un organismo armonioso. Quando viene allontanato inspiegabilmente, la coesione si perde e lui stesso si ritrova a un passo dal baratro, a stretto contato con la negatività dell’Io. Secondo l’analisi dei commentatori, siamo di fronte a una nuova evoluzione di Haruki Murakami che apparentemente si discosta dall’archetipo individuo “cool” per interessarsi alle dinamiche dei rapporti sociali. Il focus è soggettivo ma il punto di vista sull’amore e sull’inquietudine è di qualcuno che s’immerge nella società e se ne lascia influenzare. Questo libro è un tassello che si aggiunge al nutrito corpus dell’autore perché in realtà anche i personaggi che si ponevano come osservatori indifferenti sono parte di un ordito nel quale le figure maschili sono l’incarnazione del tipico “Uomo senza Qualità” che si confonde tra la folla, mentre le donne sono creature trascendenti e delicate, impalpabili e al contempo a tutto tondo. E forse non è un caso che la persona che salva Toru di “Norwegian Wood” dall’apatia sia una ragazza di nome Midori (Verde); e lo stesso vale per Aomame (Pisello Verde), metà femminile di “1Q84”: due gradazioni di verde. Per ciò, se volessimo spingerci ancora più in là nel gioco delle interpretazioni, potremmo forzare un po’ la mano e tirare in ballo l’ipotesi relativista di Sapir e Whorf secondo la quale la percezione del mondo varia secondo lo schema linguistico adottato e i due studiosi sottolineavano proprio i fraintendimenti di traduzione dovuti alle difformità nell’assegnare un nome ai punti della scala cromatica: cioè, in giapponese alcune tonalità che per noi ricadono nella sfera del “blu” rientrano ancora nel “verde” e quindi “midori” è decisamente “verde” mentre “ao” indica anche il blu e l’azzurro. Cosa può significare questo discorso se applicato all’analisi dei personaggi di Murakami? In questo nuovo romanzo i due ragazzi “colorati” del gruppo sono Aka (“rosso”) e Ao (che qui è giustamente reso con “blu”): nonostante il loro cognome contenga una tinta, entrambi sono entrati in un ingranaggio che rispecchia lo Spirito del Tempo. Il primo si è improvvisato guru di una start-up motivazionale; il secondo è diventato venditore di un lussuoso concessionario. Come le stazioni costruite da Tsukuru cambiano la loro funzione con l’evolversi della società e mostrano i bisogni delle masse, anche gli status e le istituzioni che li rappresentano si modificano e nel libro tutti i personaggi hanno seguito un percorso di vita totalmente inaspettato, tranne il protagonista che rimane fedele alla propria vocazione giovanile.



 

 In “Tazaki Tsukuru” gli stilemi consueti dell’autore sono ripresi e adattati a un diverso parametro: l’analisi dei rapporti d’amicizia e delle tensioni fra i sessi è carica di tutte le possibili sfumature. Le due ragazze del team sono Shiro (“Bianco”) e Kuro (“Nero”) e sin dall’inizio sono concepite come un organismo unico – esattamente come in “1Q84” daughter e mother erano un’unità di senso –  ma, se gli incontri a tre rievocano “Il Flipper del 1973” (uno dei primi romanzi di Murakami, inedito in Italia), è forse la prima volta che si accenna all’attrazione omofila, e lo si fa con la delicata naturalezza che ricorda “Una Promessa d’Estate” di Chiya Fujino: infatti la sintesi corporea delle due donne è un ragazzo, Haida ( dove “hai” si scrive con l’ideogramma di “grigio”). Come sempre avviene in Murakami, la riflessione va oltre l’incontro carnale: a livello spirituale, qui l’equilibrio tra i due non-colori si esprime sulla tastiera del pianoforte, attraverso il continuo riferimento alla musica come mezzo per creare un mondo nuovo, alla stregua della zangolatura degli oceani nella religione hindu. Si tratta però di un meccanismo fragilissimo, costantemente vicino al baratro della follia, in un modo che, anche per le suggestioni visive, si avvicina “D-Gray Man” e “Soul Eater”, due manga nei quali il lato oscuro dei personaggi si manifesta proprio in una melodia suonata dai loro doppi.  “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi Anni di Pellegrinaggio”  è un romanzo meno ambizioso e complesso sul piano immaginifico, ma forse proprio per questo è denso di contenuti e ricco suggestioni. Come di consueto, il titolo, che riprende quello di un brano di Liszt, è una dichiarazione descrittiva che si rifà alla tradizione della narrativa orale e sembra aggiungere una variante al personale realismo magico di Murakami – per quanto questa etichetta vada sempre applicata con precauzione, persino quando si parla di letteratura  latino-americana. Nell’“Incolore Tazaki Tsukuru” si sviluppa una profonda analisi psicologica che trasforma l’astrattismo in un contenitore tangibile, con tutte le fragilità dell’essere umano. Anche il tema delle dimensioni parallele qui assume tratti di verosimiglianza che però – come già in “Kafka sulla spiaggia” – confinano con la psicanalisi mescolando il presente al passato, lo Spazio e il Tempo. * L’individuo si apre all’esterno, modificandosi. Le immagini che altrove riprendevano velatamente la poetica di Tomas Transtörmer si manifestano in uno spostamento fisico che confina con la saggistica di “Underground”.  Invece di chiudersi nel proprio universo interiore, Tazaki si rivolge all’esterno e infonde le sue emozioni nel paesaggio delle foreste finlandesi, scenari bellissimi, pacifici e incontaminati dove però c’è il rischio di perdersi (proprio come nel bosco di “Kafka sulla Spiaggia”) e di finire “kamikakushi”, “rapiti dagli dei”.  Nella struttura narrativa che inanella storie diverse, incorporando nella trama principale anche alcune digressioni, si ritrova uno stile classico che associa i viaggi sabbatici dei personaggi a un processo di scoperta di sé e del mondo che ha lo stesso principio di analisi concreta e interiore dei vagabondaggi dei veduti dell'ukiyo-e. A questa visione da vicino, si somma la metafora del treno che stavolta viene resa palese e sviluppata quasi si trattasse di una trasposizione sulla carta geografica delle tappe del Galaxy Express 999 (a sua volta libera interpretazione di “Una Notte sul Treno della Via Lattea”, classico per bambini di Kenji Miyazawa). In “Tazaki Tsukuru” resiste l’aspetto fantastico della ricerca di senso ma l’accento è calcato sul piano reale.   Se in“L’Arte di Correre” il podismo era la sublimazione della disciplina morale, ora il nuoto è la metafora della crescita mentale dei personaggi che attraversano un “mare buio” per poi emergerne o inabissarsi.
 





 Murakami si limita a lanciare delle domande, non fornisce tutte le risposte e anzi lascia molti punti oscuri nello svolgimento della vicenda seguendo l’idea che il compito di un buono scrittore non è quello di imporre certezze ma piuttosto quello d’instillare il dubbio.

 

Nessun commento:

Posta un commento