martedì 1 luglio 2014

ULTIMO MINUTO Marcelo Backes




Del Vecchio Editore, 262 pp., 14.50€


In Italia è ormai tramontata la frenesia per il Mondiale, ma sarebbe bello sapere cosa ne penserebbe l’allenatore detenuto João / Yannicnick  di giocatori che si presentano in campo come starlet televisive. Nel racconto, il calcio è una metafora della vita stessa, summa antropologica di una società in divenire. La partita come grande rappresentazione del conflitto, della tensione che percorre le logiche di sviluppo di una comun unità, esattamente come ha spiegato il recente saggio Bruno Barba. E anche il religioso entrato in carcere per fare proseliti diventa un po’ un etnologo munito di registratore. Riascoltando una ricostruzione involuta, ricca di digressioni e citazioni il giovane perde le sue granitiche certezze e comincia a interrogarsi su se stesso mentre trascrive quasi fedelmente le parole di un uomo che ha vissuto mille diverse esperienze e che ha il dono della narrazione proprio come l’aveva il naufrago Luis Alejandro Velasco intervistato da García Márquez dopo dieci giorni alla deriva. I fatti si delineano incontro dopo incontro, passando da un piano temporale all’altro, richiamando le persone vicine al protagonista accanto a personaggi dei grandi romanzi, figure storiche accanto a nomi eccellenti dello sport. All’inizio lo spaesamento del giovane João di fronte alla metropoli lo stesso del ragazzo di “Di me ormai neanche ti ricordi” (appena pubblicato da La Nuova Frontiera) ma, mentre Ruffato affida l’oralità popolare alla forma epistolare, nelle pagine di Backes la parlata delle missioni del Rio Grande do Sul si mescola a una rete di rimandi colti, diventando una sfida per i traduttori.




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