martedì 11 agosto 2015

MOONRISE KINGDOM


MOONRISE KINGDOM è un’altra piccola perla di Wes Anderson, impreziosita dalla co-produzione di Roman Coppola e da un grande cast. Il luogo è l’isola immaginaria di New Penzence, l’anno è il 1965. Sam Shakusky è uno scout di dodici anni che decide di dimettersi per tentare una rocambolesca fuga d’amore con la sua amica di penna Suzy Bishop, ragazzina disadattata che nella recita parrocchiale su Noè ha il ruolo del corvo. Il ragazzo è matto o solo incompreso? Dopo la fuga, compare sulla scena la terribile Servizi Sociali, caratterizzata come una strega e le cose si complicano perché nonostante fosse impopolare, Sam era comunque parte della truppa dei Khaki Scout e come tale va aiutato nel momento del bisogno quindi tutti i suoi compagni si uniscono per salvarlo da un possibile elettroshock e dall’affidamento a un “rifugio per giovani” che è l’equivalente di un riformatorio.

Il film fa riflettere su diversi grandi temi della sociologia. Innanzitutto ruolo della famiglia nell’educazione dei figli. Infatti, Sam potrebbe avere dei problemi relazionali perché i suoi genitori sono morti e da diversi mesi vive in una casa che non lo accoglie davvero per quello che è e da dove viene scacciato non appena si manifestano delle difficoltà. Come Ed e Al in FullMetal Alchemist, il bambino non ha più un posto in cui tornare e deve contare solo sulle proprie capacità di Lupetto. Tale certificazione e l’entrata in scena di Servizi Sociali, dello Sceriffo Sharp (Bruce Willis) e del Capo Scout Word (Edward Norton) mostra l’importanza e le carenze dell’autorità esterna nella costruzione della personalità.  Suzy ha una famiglia apparentemente normale (Bill Murray e Frances McDormand)– anche se c’è dell’ironia nella caricatura della “famiglia numerosa” – ch vive al capo estremo dell’isola e dunque in un posto molto difficile da raggiungere e nel quale i punti di riferimento sono per forza di cose interni. Per questo motivo la fuga verso una nuova avventura e verso gli spazi aperti si prospetta come unica alternativa all’autolesione – che è la forma estrema di autoreferenzialità in un circolo chiuso (vizioso) e non solo un capriccio della moda emo del momento. Un appunto sui cognomi: Sharp, il poliziotto dell’isola che indaga sulla sparizione dei due e sull’aggressione al capo della fazione scout che, embedded rispetto al potere dominante degli adulti, segue le tracce dei due fuggiaschi e li considera nemici; Word come “parola” fa pensare al roulo fondamentale che essa ha nella formazione; Bishop “Vescovo” rimanda direttamente all’autorità

Lo spazio è definito dalla cartografia di una mappa ipotetica come in “Lo Straordinario viaggio di T. S. Spivet” in cui è proprio il percorre il territorio a strutturare la strada di volta in volta, ma qui si aggiunge la leggenda dell’antico sentiero della migrazione del popolo indiano dei Chickchaw che legittima la coscienza collettiva quanto il rapporto con l’ambiente specifico si lega all’individuo. Così gli espedienti narrativi si rifanno all’antropologia e all’arte, da un lato il diario di Word; dall’altro l’uso di quadri e vetrate come scenari in cui inserire i personaggi. 

 
 


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